storia e cultura araba | Danza e Musica Araba https://danzaemusicaaraba.com L'universo artistico del Medio Oriente Sat, 24 Aug 2019 18:09:53 +0000 it-IT hourly 1 L’origine della musica araba https://danzaemusicaaraba.com/lorigine-della-musica-araba-2/ Mon, 04 Jun 2018 14:03:09 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=578 La musica araba all’avvento dell’Islam La gente del deserto ha salvato attraverso la tradizione orale le usanze musicali del deserto. Non esistono nei testi antichi prove dell’esistenza della musica araba anteriori al VI secolo....

The post L’origine della musica araba first appeared on Danza e Musica Araba.]]>
La musica araba all’avvento dell’Islam
 musica orientale

Musica Araba

La gente del deserto ha salvato attraverso la tradizione orale le usanze musicali del deserto. Non esistono nei testi antichi prove dell’esistenza della musica araba anteriori al VI secolo.

I frequenti contatti con altre culture che permearono la vita degli arabi di città furono sempre filtrati dall'”esclusivismo arabo”, che permise di assorbire soltanto ciò che poteva arricchire ma non modificare la struttura della musica araba, fortemente legata alla poesia ed alla lingua.

L’iniziale condanna religiosa della musica e la sua successiva riabilitazione diedero luogo ad una serie di studi e ricerche nel campo della storia e della tecnica musicale, con un interesse per la civiltà musicali del passato. In tal modo furono riportati alla luce i fondamenti della musica greca, mentre le culture musicali dei popoli che l’Islam andava assoggettando entravano ad arricchire il patrimonio musicale arabo.

Le notizie più antiche sulla tecnica e sulla teoria musicale araba risalgono alla seconda metà del secolo VIII, epoca in cui visse Zalzal Mansur Ben Djafar, morto nel 791, virtuoso liutista persiano, zio e maestro del celebre Ishaq al Mausili (767- 850). Per primo Zalzal formalizzò l’esistenza di un intervallo di 3/4 di tono, al terzo ed al settimo grado della scala del modo Rast: Do, Re, Mi meno 1/4 di tono (o Mi semibemolle), Fa, Sol, La, Si meno 1/4 di tono (o Si semibemolle), Do. Gli intervalli risultano quindi: 1 tono, 1 tono, 3/4 di tono, 3/4 di tono, 1 Tono, 1 Tono, 3/4 di tono, 3/4 di tono. Questo intervallo è stato chiamato “terza neutra di Zalzal”. E’ per noi difficile, essendo condizionati dal sistema tonale, cantare la terza neutra, poiché siamo stati educati a “sentire” i modi maggiore e minore, e questi esercitano su di noi un forte richiamo.

La scala Rast ha una importanza fondamentale nella musica araba, poiché, come evidenzia D’Erlanger, autore dell’enciclopedia “La musique arabe”, la musica araba si svolge prevalentemente sulla “gamma fondamentale”, cioè sulle due ottave che di solito sono coperte dalla estensione della voce umana. La scala Rast si trova esattamente nel centro di questa “gamma fondamentale” (la gamma va dal Sol sotto il Do centrale del pianoforte al Sol di due ottave più acuto, mentre la scala di Rast va dal Do centrale al Do superiore). Rast significa in persiano “normale” o “regolare”. Tutto questo ci indica quanto la scala Rast sia da considerare come la scala di base, un po’ come quella di Do maggiore per la musica occidentale.

Musica e musicalità nella “recitazione” del Corano e nella preghiera musulmana

E’ molto difficile se non impossibile tracciare un confine fra l’essere o non essere musica in materia di declamazione o recitazione, dove massimo è l’impegno vocale, con enorme partecipazione del cuore e della mente come quando i musulmani leggono il Libro Santo. L’effetto che la salmodia del Corano ha sull’uditorio arabo è incredibile: commozione, sospiri, esclamazioni… La declamazione si impara per tradizione orale, studiando i testi che ne raccontano la storia e la teoria.

Il Corano è la summa delle rivelazioni fatte per volere di Dio dall’angelo (e non arcangelo) Gabriele a Maometto. Consta di 114 sure suddivise in aya’s, versetti. L’ordine delle sure, capitoli, è cronologico, e più o meno la loro lunghezza decresce, eccezion fatta per la prima sura, la “sura aprente” (Fatiha), che è di soli 7 versetti. Parte delle sure furono rivelate a Mecca, città natale di Maometto. Altre gli furono poi rivelate a Yatrib, Medina. Le sure si distinguono quindi in “medinesi” e “meccane”. Ogni sura ha un titolo generalmente affiancato dall’aggettivo relativo al luogo in cui è avvenuta la rivelazione.

Recitazione del corano

Musicalità del Corano

Citiamo la Fatiha, che è professione di fede, e viene sempre recitata con modulazioni ed espressioni musicali profonde.

1 Nel nome di Dio clemente e misericordioso!

2 Sia lode a Dio, il Signore del Creato

3 il Clemente, il Misericordioso,

4 il Padrone del dì del Giudizio!;

5 Te noi adoriamo, te invochiamo in aiuto:

6 Guidaci per la retta via,

7 la via di coloro sui quali tu hai effuso la Tua grazia, la via dio coloro coi quali non sei adirato, la via di quelli che non vagolano nell’errore!

Il recitante deve fare molta attenzione all’intelligibilità delle parole, rispondendo a requisiti di gusto ai quali tutti sono educati fin dall’infanzia. Nella lettura bisogna rispettare dei segni nel testo, che indicano accenti, cesure, legature, conferendo alla lettura una maggiore forza nel coinvolgere emotivamente l’uditorio.

Come nel Cristianesimo medievale, nell’Islam si studia il canto ma non la musica strumentale, giudicata profana, poiché svia l’attenzione dei fedeli dal culto. Il richiamo alla preghiera non ha base ritmica, cosa che lo rende più forte. Il muezzin lo proclama cinque volte al giorno verso i 4 punti cardinali.

Soprattutto per le celebrazioni del venerdì, è necessario che la voce dell’officiante abbia certe caratteristiche estetiche che presuppongono un certo studio. Deve essere forte e gradevole, ed avere musicalità toccante.

Ecco il testo del richiamo alla preghiera (Adhan)

Allah è grande!

Non esiste altro Dio che Allah!

E Muhammad è il suo Profeta!

Venite alla preghiera!

Venite alla salvezza eterna!

Allah è grande!

Non esiste altro Dio che Allah!

The post L’origine della musica araba first appeared on Danza e Musica Araba.]]> L’orientalismo come Moda, danza e cinema https://danzaemusicaaraba.com/lorientalismo-come-moda-danza-e-cinema/ Thu, 29 Mar 2018 15:35:52 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=226 L’Orientalismo come moda Le “Mille e una notte” e l’Orientalismo La prima traduzione delle “Mille e una notte” in una lingua occidentale, il francese, fu quella del 1704, ad opera del francese Antoine Galland,...

The post L’orientalismo come Moda, danza e cinema first appeared on Danza e Musica Araba.]]> L’Orientalismo come moda

Le “Mille e una notte” e l’Orientalismo

Mille e una notte

Quadro orientalista

La prima traduzione delle “Mille e una notte” in una lingua occidentale, il francese, fu quella del 1704, ad opera del francese Antoine Galland, in versione censurata. Non appena pubblicata, l’opera si impose all’immaginazione dei lettori.

I personaggi dei racconti vengono mitizzati, anche perché poche sono le persone che ne hanno una conoscenza diretta: più che altro, infatti, se ne diffonde la fama, più che la lettura di prima mano. Quindi ne viene accentuato ogni aspetto di esotismo, erotismo, amore e violenza, trascurandone del tutto il carattere spirituale dei racconti, che invece nell’opera è quello saliente. L’immagine che ne nascerà diventerà indelebile nell‘opinione pubblica generale.

Ecco l’Oriente poetico, erotico e brutale, che generò la serie dei clichés del repertorio orientalista: i califfi, i visir, le odalische, gli eunuchi….

L’orientalismo e la moda aristocratica in Francia

Nel 1714 l’ambasciatore di Francia Charles Ferriol pubblicò una raccolta di incisioni che divenne la più influente per quanto riguarda le conoscenze sui costumi ottomani, tratta più che altro dai quadri di Jean Baptiste Van Mour. Van Mour viveva a Costantinopoli, e là operava ritraendo i signori occidentali abbigliati in costume orientale.

Molti viaggiatori e diplomatici occidentali portarono i costumi orientali in Europa, dove dapprima cominciarono a diffondersi grazie alla moda dei balli mascherati e poi influenzarono la moda. Insieme agli abiti si diffusero anche i racconti pieni di fascino dei leggendari splendori dell’Impero Ottomano della Sublime Porta.

Per secoli si vagheggiava sul Grande Serraglio, l’Harem del palazzo turco, che oltre a tutto rimaneva inviolato, per cui nessuno ne poteva avere una conoscenza diretta.

Le “turcherie” ebbero successo a Parigi, tanto da influenzare la moda, il teatro, l’opera, il romanzo sentimentale e la pittura. Moltissimi pittori francesi furono influenzati dallo stile turchesco, senza tuttavia essersi mai recati in Medio Oriente.

Il pittore Jacques Aved divenne famoso per il ritratto di un ambasciatore turco, del 1772, e divenne di gran moda fra gli aristocratici farsene ritrarre in costume orientale.

Ovviamente in questi quadri i costumi e gli accessori erano orientali, ma l’architettura di contorno era neoclassica.

La commedia “Le tre sultane” di Favart ebbe nel 1761 un notevole successo, ispirando l’opera di artisti come Jean Etienne Liotard, che viaggiò davvero in oriente, e visse per un periodo a Costantinopoli, ed Honoré Fragonard.

A fine 700 Maria Antonietta e le sue cortigiane portavano vestiti “alla sultana” e pellicce “alla levantina”, mostrando quanto le turcherie, pur essendo un po’ tramontate in quasi tutti i campi, sopravvivessero come non mai in quello della moda.

Durante la campagna d’Egitto di Napoleone, nel 1802, si diffuse a Parigi la moda delle tuniche “alla mamelucca”, dei turbanti e dei tessuti d’arredamento a motivi orientali.

… e in Inghilterra

In Inghilterra la moda dei ritratti turcheschi ebbe successo per tutto l’800, anche grazie ai balli mascherati, che vi godevano di una forte popolarità, fenomeno che era altrettanto fiorente anche in Francia ed in Italia. Il ricordo di queste a volte leggendarie ed incredibili feste veniva spesso affidato a dipinti ed incisioni commissionate personalmente dai vari signori agli artisti.

Lady Mary Wortley Montagu viaggiò con il marito a Costantinopoli nel 1716, in missione diplomatica, per due anni, e adottò gli abiti orientali, attratta più dalla novità che dalla comodità. Al suo ritorno a Londra, influenzò la moda, e le donne dell’alta società, ma anche alcune cortigiane si fecero ritrarre in costumi originali turchi. Questo avveniva anche senza una passione per l’Oriente, del quale non si conosceva nulla, ma per moda e perché questo dava ai ricchi l’occasione di dare sfoggio delle proprie ricchezze materiali e alle donne della loro avvenenza fisica.

In Inghilterra la moda non fu influenzata dalle turcherie quanto in Francia, ma comunque entrarono nell’uso caftani aderenti, imbottiture, spille di pietre e turbanti, tutti modificati a seconda delle esigenze della moda del momento. Ma la cintura tempestata di pietre che accentua la curva dei fianchi e la rotondità dell’addome, tratto autentico degli abiti turchi femminili, è stata sempre considerata poco conveniente. Anche i pantaloni a sbuffo non divennero di moda, e furono accettati soltanto durante le feste mascherate.

I viaggi

La visione occidentale del mondo Orientale

Mille e una notte

Quando all’inizio del secolo XIX il numero dei viaggiatori in Oriente si moltiplicò, per cui cominciarono a circolare troppe informazioni di prima mano perché le turcherie fossero ancora credibili, la moda orientalista cominciò a calare. Fino ad allora, più che altro si conosceva la Turchia, per cui la comparsa di informazioni su altri paesi del Medio Oriente spesso fece cadere dei miti. Gérard de Nerval scrisse a Théophile Gautier che ben presto non ci sarebbero più stati luoghi dove potesse trovare un rifugio per i suoi sogni: per chi non ha viaggiato, un loto rimane pur sempre un loto, mentre per chi ha viaggiato un loto è una sorta di cipolla.

Ciononostante, molti artisti continuarono a permeare l’Oriente del loro personale alone romantico.

Lo scontro con la realtà non riesce a distruggere il mito

Quando la moda degli abiti orientali declinò, si perse anche quella dei ritratti di stile orientale.

Alla fine del secolo XIX gli abiti e le usanze dei paesi orientali furono in enorme misura influenzati dall’Occidente, privando l’Oriente di una buona parte del suo fascino romantico.

Ancora una volta furono le “Mille e una notte” a rilanciare l’interesse per l’Oriente. Comparvero a fine 800 nuove traduzioni non censurate dell’opera, la prima delle quali, saggia e poco ispirata, di Edward Lane, nel 1838-40, seguita da quella vigorosa e brillante di Richard Burton, nel 1885, ricca di note eccezionalmente dettagliate e precise.

Ma ad avere un successo-bomba fu la traduzione di Joseph Charles Mardrus, pubblicata in sedici volumi dal 1899 al 1904, fu illustrata da Léon Carréin Francia e da Edmund Dulac in Inghilterra. Ambedue i pittori si ispirarono alle miniature islamiche ed indiane, all’arte tibetana e giapponese. Le illustrazioni mostrano belle eroine agili e delicate.

Mardrus da bambino aveva appreso tutte le credenze, i costumi, le superstizioni della gente della vecchia Cairo da Aisha, la schiava di famiglia. Questa insolita educazione lo aiutò più tardi a dare maggior ricchezza alle traduzioni dei testi arabi.

Il balletto Shéhérazade

Fra tutte le opere, gli spettacoli, le commedie ed i film ispirati dalle “Mille e una notte”, enorme fu l’influenza del balletto Shéhérazade, presentato a Parigi da Diaghilev nel 1910. Decorazioni e costumi, opera di Léon Bakst, ebbero grando successo, con le loro combinazioni di colori violenti: smeraldo e arancione, blu e geranio, vermiglio e rosa furono una rivelazione per il pubblico, abituato a tenui toni pastello. L’argomento di quest’opera è un po’ forzato. Le donne dell’harem, approfittando della supposta assenza del loro padrone, il re Shahriar (che è alla ricerca della prova dell’infedeltà della sua favorita), si abbandonano ad un’orgia con gli schiavi neri. La storia termina in una vendetta bagnata di sangue. Il pubblico fu scioccato, ma trovò modo di assecondare il proprio codice morale grazie alla vendetta contro i colpevoli.

I costumi di Bakst tradiscono le ossessioni erotiche di un misogino incapace di stabilire una relazione con una donna. Non si trattava infatti soltanto di una esibizione di seni, di cosce e di ventri visibili grazie alle parti più aderenti dei costumi, ma anche di un erotismo espresso attraverso le posizioni stesse dei corpi, di una estrema aggressività.

Erano fortemente innovativi, con i loro colori squillanti, in contrasto con quelli tenui e sempre assortiti in gradazione dei costumi di scena.

Il sarto Paul Poiret lancia una collezione di abiti e di profumi orientali, influenzato dal balletto, facendo un enorme scalpore a Parigi. Poiret si dedicò anche al teatro, nel 1913, creando i costumi per lo spettacolo “Il minareto”. Il ruolo principale era affidato ad Ida Rubinstein, una russa di una bellezza strana, spesso ritratta da Bakst: dovendo diventare una perfetta odalisca, aveva bisogno di acconciature ed accessori appropriati, con cui potesse languire distesa su cuscini decorati. Per soddisfare questa esigenza, Poiret fondò una casa di decorazione per tessuti ed una serie di profumi dai nomi esotici.

La pubblicità sposa il mito orientalista

 

La visione Orientalista dal mondo occidentale

la Moda orientalista

Le esposizioni coloniali di Marsiglia, nel 1906 e nel 1922, con i loro incredibili padiglioni di stile orientale, con membri di tribù in costume tradizionale, danze e musiche, introdussero una nuova ventata di esotismo. Le affiches pubblicitarie di “creme orientali”, di prodotti per il viso, di saponi, di profumi e di dentifrici rappresentavano corpulente Ouled Nail, danzatrici egiziane o bellezze da harem vantando le qualità di questi prodotti: rendere le utilizzatrici del tutto irresistibili.

Fino alla prima guerra mondiale il trucco non era ben visto, ma poi si diffuse l’uso di cerchiare di nero gli occhi con il Kohl, e il mercato ne offrì di marche dal nome esotico, come Ouled Nail.

Anche se le fotografie e le cartoline delle colonie francesi e belghe, così come i film europei o americani, dai decori esotici, avessero continuato ad alimentare l’eterno bisogno di evasione del mondo occidentale, furono comunque soprattutto i quadri a far sognare il pubblico occidentale.

Il cinema orientalista

All’epoca del cinema muto, molte furono le attrici che crearono intorno a sé il mito misterioso della vamp, la seduttrice pericolosa. Una per tutte, Theda Bara. Agli inizi del ‘900 l’attrice scelse questo nome perché è l’anagramma di “arab death”, morte araba: desiderava infatti crearsi un immagine esotica di seduttrice araba maledetta. Gli occhi fortemente truccati, le espressioni cariche da diva del cinema muto, Theda Bara asseriva di essere nata sotto una piramide, allattata da un serpente, e che ogni suo amante o spasimante impazziva.

Del resto la figura della donna di spettacolo che, per arrotondare, dichiarava di essere “orientale” per costruire un personaggio esotico che la rendesse famosa è illustrata mirabilmente nel film di Gregory La Cava “La verità seminuda”, del 1936, nel quale un’artista circense il giorno in cui scopre che fingersi danzatrice del ventre non era più tanto vantaggioso e che le conveniva fingersi figlia di un principe arabo…

The post L’orientalismo come Moda, danza e cinema first appeared on Danza e Musica Araba.]]>
Gawazi sull’orlo dell’estinzione https://danzaemusicaaraba.com/gawazi-sullorlo-dellestinzione/ Thu, 29 Mar 2018 15:22:54 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=222 Gawazi sull’orlo dell’estinzione Di Edwina Nearing Da Newsletter della Hilal School of Raqs Sharqi . Quarto numero, Gennaio, Febbraio, Marzo 1995; quinto numero, Aprile, Maggio, Giugno1995; sesto (ed ultimo) numero Luglio, Agosto, Settembre 1995...

The post Gawazi sull’orlo dell’estinzione first appeared on Danza e Musica Araba.]]>
Gawazi sull’orlo dell’estinzione

Di Edwina Nearing

Da Newsletter della Hilal School of Raqs Sharqi .

Quarto numero, Gennaio, Febbraio, Marzo 1995; quinto numero, Aprile, Maggio, Giugno1995; sesto (ed ultimo) numero Luglio, Agosto, Settembre 1995

le Ghawazee si stanno estinguendo

Le ultime Ghawazee

(La giornalista ed orientalista Edwina Nearing si è laureata sul Medio Oriente all’Università della California a Berkeley e all’Università americana di Beirut, è vissuta ed ha viaggiato in varie zone del Medio Oriente, fin dal 1968. ll suo più importante contributo all’ancor troppo dormiente corpo della conoscenza sulle danze del Medio Oriente è “The mystery of the Ghawazi”, una serie di articoli sulla tradizionale casta delle Ghawazi, donne-artiste. ll cuore della serie sono i dati raccolti sul luogo dalla Nearing nel 1976 grazie ad interviste e spettacoli con membri della grande famiglia Mazin di Luxor, in Egitto, rinomate praticanti  dell’arte Ghawazi. Questo articolo fu scritto dopo che la Nearing trascorse alcuni giomi, nel gennaio 1993 con Khairiyya Mazin, la più giovane della famiglia, a Luxor. Questa visita costituisce la fonte del seguente reportage.)

Far ricerche sulle arti tradizionali del Medio Oriente è un po’ come fare archeologia di salvataggio- uno corre davanti ai bulldozer per salvare ciò che di culturale rimane prima che tutto venga gettato nell’oblìo. Le pressioni economiche e la corsa agli ostacoli attraverso l’occidentalizzazione hanno indotto il popolo del Medio Oriente, come la maggior parte del mondo, a girare le spalle alle sue ricche e culturalmente diverse eredità, ed a costruirsi da sé, letteralmente e metaforicamente, vergognose scatole di cemento per ospitare il corpo e lo spirito. In questo processo, molti dei curiosi e particolari mestieri, arti, costumi ed ambienti si sono già persi. I ricercatori fanno le acrobazie per registrare quanto ancora sopravvive, sia tramite la cosa in sé che attraverso varie ricerche, con la speranza di un futuro in cui, si auspica, il patrimonio tradizionale sia valutato più di quanto non lo sia al presente. La danza del Medio Oriente, questa curiosa e particolarissima forma d’arte, sopravvive ancora nella sua terra d’origine, forse perché è un’arte “sociale”, ed i mediorientali in generale sono un popolo molto socievole. La danza nel Medio Oriente celebra la guerra e la pace, la nascita e tutti gli altri momenti di passaggio della vita; afferma la solidarietà della famiglia, della tribù, della gente; persino rende in termini pratici l’unicità di Dio, o il Tutto, nelle cerimonie musulmane del Dhikr e della Hadra. La linea di demarcazione fra il pubblico e gli artisti spesso scompare; i danzatori, i musicisti ed il pubblico sono intercambiabili quando il richiamo del sangue infrange le barriere sociali. Nel Medio Oriente dei tempi antichi, e fra gli arabi preislamici, il sangue era la vita, ed il sangue ha un suo ritmo, ed il qawm- “la gente”, la tribù araba- danza la dahiyya al ritmo del sangue.

Ma è incerto se la danza Medio Orientale possa continuare a sopravvivere in tutte le sue diverse forme tradizionali. La tribù, l’essere arabi, turchi o berberi, sembra essere sulla via di scomparire anche se pare prematuro consegnare questo alla storia come qualcosa di finito, poiché il sangue del qawm scorre profondamente. Le stesse forze che hanno indebolito la tribù hanno colpito la danza nel Medio Oriente: occidentalizzazione e la pressione economica hanno largamente distrutto molte sue forme, molti suoi esponenti e molti luoghi d’incontro. Dove sono, per esempio, le famose Ouled Nail che frequentarono i pittori  Dinet e intrattennero la Legione Straniera nel ristretto Quartiere d’Algeria, soltanto 40 anni fa? Dov’è l’abbagliante danza siriana “Sayf wa turs”, i suoi frastuoni di spada escudo che si mescolano con le urla acute del pubblico femminile? Ancora, il flusso del sangue scorre profondo, i beduini non hanno interamente rinunziato alla loro dahiyya, né la tenace forza contadina dell’Egitto ha cessato di dar lavoro a quelle donne dall’origine misteriosa, le Ghawazi, perché cantino e danzino nei loro festival.

Cosi ci inoltriamo fino a Luxor per vedere le Ghawazi, e prendiamo per certo il costante, ma lento, declino di ciò che resta delle arti tradizionali della regione. Ma ora un vecchio nemico, l’intolleranza religiosa, ha dato la mano a nuove forze schierate contro la danza, minacciando di convertire il lento declino in una fatale emorragia. Più di una volta, in passato, un relativamente piccolo ma aggressivo gruppo di estremisti sostenitori dell’lslam, la religione dominante nel Medio Oriente, hanno fatto in modo che la danza, ed a volte addirittura la musica, venissero proibite, ed i loro esponenti cacciati. D’allora in avanti, il ritmo del sangue si è sempre dimostrato più forte del breve rigurgito di fanatismo e repressione. Ora, comunque, l’intolleranza religiosa ha nuovi e forti alleati: la recessione mondiale, il taglio del supporto finanziario alle arti, l’inflazione, la crescita del prezzo d’entrata nei locali che programmano danza professionale, al di là delle possibilità della maggior parte dei portafogli, l’infatuazione per il potente occidente, che rifiuta come imbarazzanti le cose orientali, nella speranza di ottenere in qualche modo una fetta di potere, l’impulso della tecnologia, che ha reso facile e meno dispendioso guardare una videocassetta a casa che vestirsi e comprare un biglietto di un costoso spettacolo di danza, persino la sovrappopolazione ha colpito pesantemente, con una improduttiva e crescente maggioranza della popolazione al di sotto dei 20 anni, la maggior parte della quale è costituita dagli impoveriti bambini delle brulicanti città, cresciuti con “Dallas” e tagliati fuori dalla loro eredità culturale.

La danza non può essere posta sotto legislazione o esclusa dall’umanità, ma, come abbiamo visto, forme specifiche di danza possono morire, insieme con tutte le loro tradizioni associate e le cose a loro collegate. Negli ultimi due anni circa- almeno dalla metà del 1991, se non prima- le Ghawazi sono state al centro dell’attenzione delle forze ostili alla danza che convergono nel Medio Oriente. Le Ghawazi sono le famose artiste tradizionali, in gran parte con educazione ereditaria, dell’ Egitto, e la danza Ghawazi, che è menzionata dalla letteratura di diversi secoli, è la sola importantissima fonte originaria della danza professionale egiziana (El Raqs El Sharqi). Un secolo e mezzo fa, la maggior parte delle danzatrici professioniste in Egitto sia in città che nelle campagne venivano chiamate “Ghawazi”; ora il termine Ghawazi è usato in Egitto per indicare le danzatrici di campagna che ancora si esibiscono alla maniera tradizionale, e che non hanno aggiunto nulla al loro repertorio che provenga dal balletto, dalla danza latino-americana, o dalla danza moderna,come hanno fatto le danzatrici Orientali dei nightclub delle città.

ghawazeeche ballano

le ghawazee nelle danze

Le Ghawazi, inoltre, si distinguono per il fatto di avere origine non-egiziana e non-araba,quanto meno nella maggior parte dei casi; l’orientalista dell’inizio del XIX secolo Edward Lane, nel suo libro “Un racconto degli usi e dei costumi del moderno egiziano” le chiama “una razza a parte” e dice che “spesso fanno uso di alcune parole che appartengono solo a loro”. La mia personale ricerca sugli Awlad Mazin di Luxor, una famiglia che per molti anni ha fomito le migliori Ghawazi dell’Egitto, conferma i miei precedenti sospetti che le Ghawazi comprendano alla fine alcuni gruppi etnici di provenienza incerta; i Mazin comprendono i Nawar, i Bahlawan, i Ghajjar, gli Halab, ed i Shahaina. Ogni gruppo ha apparentemente un suo linguaggio: i Mazin che vengono da Nawar affermano che la loro lingua è totalmente non correlata a nessuna altra parlata da altri gruppi. ll piccolo vocabolario Nawari che ho messo insieme mostra qualche somiglianza con l’Hindi, suggerendo che i Nawari potrebbero essere originari dell’lndia o di una zona vicina, e probabilmente del nord dell’lndia o di una zona vicina, se altre evidenze di circostanze che ho scoperto sono valide. Le Ghawazi sono ancora richieste nei villaggi perché facciano spettacoli per le stesse funzioni per cui, secondo Lane, venivano chiamate più di 150 anni fa: appuntamenti di festa, celebrazioni di matrimoni e circoncisioni. E’ ritenuto un onore che una famiglia provveda ad una festa con le Ghawazi per la gente del paese, come segno di buon auspicio; nell’Alto Egitto, da 2 a 5 Ghawazi sono assunte per dare spettacolo, in teoria per tutta la notte, su di un alto palco di legno, costruito all’aperto apposta per quella occasione. Le Ghawazi della regione di Luxor, soprattutto le Mazin, portano avanti anche un’altra tradizione registrata da molti viaggiatori del secolo XIX, quella di fare spettacolo sulle navi del Nilo per feste private, organizzate per i turisti che visitano gli antichi monumenti faraonici che abbondano nell’Alto Egitto. Ciò ha luogo soprattutto nella “stagione fredda”, da Novembre ad Aprile, quando il tempo è più piacevole per gli stranieri; la restante parte dell’anno, la “stagione calda” è preferita dagli egiziani per le feste all’aperto, nelle quali danno spettacolo le Mazin o altre Ghawazi. Ma ora, nel Gennaio 1993, non vi sono Ghawazi che si esibiscano a Luxor.

La situazione economica, le videocassette, e la “sindrome di Dallas” hanno chiesto di recente il loro “pedaggio” alla popolarità delle Ghawazi, ma quando ho incontrato Khairiyya Mazin, all’inizio dello scorso anno,-lei e sua sorella Raja si esibirono almeno 5 volte durante la settimana che trascorsi a Luxor, ed è chiaro che non hanno certo perso ora alcuna delle loro abilità. Una delle loro performance per un gruppo di turisti finlandesi di mezza età, che parevano aver bevuto troppa birra, fu appena appena decente, ma per un altro minuscolo gruppo di americani entusiasti della danza, fu superba. I loro movimenti nella danza, accompagnati dal suono lamentoso delle rababa, aveva il languore ipnotico ed assorto di un’odalisca in un buon quadro di un pittore orientalista, fermando il tempo. ll loro lavoro sul ritmo veloce era pieno di una tale energia che le danzatrici sembravano vibrare, e giocavano fra loro- prendendo inconsciamente i segnali l’una dei movimenti dell’altra .mentre improvvisavano, e si intrecciavano in modo armonioso- cosi che a momenti sembrava ci fosse fra di loro una corrente elettrica, una meravigliosa tensione che intrappolava lo spettatore.

Avevo progettato di lavorare con Khairiyya e Raja nella “stagione calda” che si stava avvicinando, come già in passato avevo fatto; la loro sorella si era ritirata, lasciando che solo le due più giovani continuassero, e gli abitanti dei villaggi preferiscono scritturare un gruppo di 3 o 4 Ghawazi per una celebrazione più grande ed uno spettacolo più vivace. Di eguale importanza per Khairiyya e Raja era il tempo di riposo che una terza danzatrice avrebbe potuto offrir loro- le performance nei villaggi durano in media dalle 5 alle 7 ore, senza pause, così, quante più sono le danzatrici, tanto meno il lavoro pesa su ognuna. Ma Khairiyya ha cattive notizie. Le autorità di Qena, la capitale della provincia, hanno posto fuori legge le performance pubbliche di danza nei paesi dove erano più popolari. Benché al momento io non abbia capito bene, sospetto che queste esibizioni siano state bandite per tutta la provincia, o almeno lo siano ora, anche se in qualche caso possono essere state permesse a discrezione delle autorità locali dei vari distretti per rinforzare il bando, poiché la provincia di Qena è molto estesa. Questa fu per me una notizia straziante, non tanto per quanto potesse danneggiare il mio progetto a breve termine, ma per il significato che aveva per la sopravvivenza delle Ghawazi e della loro arte. Lungo il corso degli anni, ho visto villaggio dopo villaggio chiudere le porte alle Farahat, le grandi celebrazioni pubbliche di matrimonio e di altre occasioni di gioia, delle quali le Ghawazi erano l’attrazione centrale, e che, come le fiere, attiravano visitatori dalle zone limitrofe. Certo, fu la grande popolarità delle Farhat che le predestinò, poiché nell’eccitazione nottuma della folla, con la birra spesso liberamente disponibile e le armi da fuoco, scadevano nei tradizionali arabi “spari di gioia”, e a volte ne scaturivano risse. Non di rado accadeva che uno straniero, per vendetta contro un individuo o una famiglia del villaggio ospite, approfittasse della Farah per portare a termine un assassinio di faida. Ed era così che le fazioni dominanti in alcuni villaggi hanno posto termine alle grandi danze delle Farahat, e non fu innaturale per me dedurre che l’autorità centrale, in nome della legge e dell’ordine, abbia deciso di vietarle del tutto. “Ma ci vorrebbero ben più di un gruppo di poliziotti per trattenere il Sa’aida- l’ingovernabile popolo dell’Alto Egitto- lontano dai loro amati tempi antichi”, cercai di rassicurarmi, spiacevolmente consapevole che il tempo stesso giocasse contro le Ghawazi, poiché con la crescente occidentalizzazione le tradizionali Farahat hanno ormai perso popolarità.

“E perché hanno vietato le Farahat?”, ho chiesto a Khairiyya, sperando per metà in un’eccitante storia di qualche vendetta che avesse preso il via fuori dal controllo. “Almunathamat al islamiyya”, rispose Khairiyya, “I gruppi fondamentalisti islamici. Vogliono proibire la danza e fermare il turismo”. Per tutti i mediorientali, il termine Munathamati slamiyya ha preso ad indicare il maggiore elemento destabilizzante nella società mediorientale, per buono o malato che venga considerato a seconda del loro punto di vista.

tre danzatricighawazee

le danzatrici ghawazee

Una certa quantità di Sa’aida continuarono a tenere pubbliche Farahat, a dispetto delle munathamat e delle nuove leggi, specialmente nell’estremo nord, nella regione di Al-Balyana, ma nel 1991 la stagione fu disastrosa per le Ghawazi. Le Banat (ragazze) Mazin praticamente non sono state scritturate. “Ta’ishi zayy’?” ho chiesto a Khairiyya, “Quanto potrete sopravvivere ora? Quando finirete di costruire la vostra casa?”. La casa era l’equivalente di un appartamento occidentale di una stanza stretta; dopo che suo padre Yusuf mori a metà degli anni 1980, la casa della famiglia Mazin fu venduta, e Khairiyya dovette arrangiarsi da sé, tutte le sue sorelle si sposarono in quel periodo. Lei affittò un modesto appartamento, fece i salti mortali e fece sacrifici, ed infine fu in grado di comprarsi una sottile striscia di terra alla periferia della città. Sperò di costruirsi un secondo piano per la sua “casa”e di risiedervi per poter dare in affitto il primo piano; l’affitto avrebbe dovuto essere una sorta di “pensione sociale” o assicurazione quando sarebbe diventata troppo vecchia per danzare.Khairiyya mi assicuro che, benché non potesse più lavorare nelle grandi feste di Farahat, leopportunità di lavoro nella città di Luxor stessa erano drasticamente aumentate. Agenzie di viaggi, organizzazioni di hotel e ristoranti si erano finalmente svegliate di fronte al fatto che orde di turisti, che discendevano a Luxor durante l’inverno per vedere le tombe ed i templi dei faraoni, avrebbero desiderato qualcosa per occupare il loro tempo anche durante la serata, e che grazie a questo si sarebbe potuto guadagnare. Gli spettacoli folkloristici che per anni erano stati presentati al Winter Palace, il più vecchio hotel di Luxor, avevano attratto folle di spettatori, e gli altri alberghi l’avevano lentamente seguito. Forse, gli occasionali gruppi di fanatici della danza Medio Orientale che erano venuti a Luxor durante l’ultima decina d’anni circa, organizzando anche la loro festa privata con la Ghawazi, diedero al fatto una spinta. Ora sembrava che chiunque, col turismo, cominciasse a dare spettacolo, e c’era sufficiente lavoro a Luxor per tenere le Ghawazi occupate a tempo pieno, almeno in inverno sarebbero comunque state portate lì danzatrici dal Cairo. Così potei vedere diverse performance delle Banat Mazin durante la mia breve permanenza a Luxor nel 1992, ed ebbi ragione di sperare che le Ghawazi potessero sopravvivere per un lungo periodo.

A qualche minuto di distanza dal mio arrivo a casa di Khairiyya nel gennaio del 1993, appresi che la mia speranza aveva fondamenta malate. “Chiunque sta dimenticando il karama- l’onore, l’alto prestigio- delle Banat Mazin”, si lamentò. “Nessuno rispetta più l’arte.

La città pullula di danzatrici del ventre portate dal Cairo e Al Minya; nessuno ci vuole”. Non aveva lavoro, così lasciò scadere le sue licenze, le carte senza le quali ad una danzatrice non è permesso lavorare in Egitto, e che devono essere rinnovate ogni anno: la costosa licenza di 200 lire egiziane del Ministrero del Turismo, la licenza dell’Adab- essenzialmente la “buoncostume”- e tutte le altre di cui la burocrazia egiziana carica gli artisti teatrali. La sua sorella e partner Raja si era sposata con un gentleman dai modi buoni della città. Khairiyya stava disperatamente tentando di terminare la sua casa, per poter lasciare la zona al piano inferiore; più tardi scoprii che non aveva soldi per finire il lavoro e che aveva già ricevuto e speso una ipoteca sull’appartamento al piano terra, che avrebbe dovuto liberare quando il nuovo proprietario ne avesse preso possesso 2 o 3 mesi più tardi. L’appartamento superiore, nel quale si supponeva che Khairiyya dovesse andare ad abitare, era ancora mezzo da completare con la malta e pieno di macerie. Quella sera e le seguenti ci rannicchiammo intorno ad un vaso di argilla con carboni ardenti nella stanza più piccola della casa, avvolte in strati di vestiti e coperte, ed io ascoltai ancora. Khairiyya si scusò per il braciere- aveva dovuto vendere la sua stufetta elettrica; così la televisione ed il frigo, notai, se ne erano andati. Aveva tentato di lavorare l’estate precedente alle Farahat che qualche Sa’aida nella distante area di Al Balyana ancora organizzava, di nascosto, nonostante il divieto della legge e le Munathamat. Le Ghawazi in quella zona, disse, erano più del Bahlawan che della sua gente, la Nawar- si riferì a loro con il termine Nawari “Sharishtiyya”, “ladruncole”.Il commento “Sharishtiyya” fu spiegato: le sue “colleghe” fra le Bahlawan, come Khairiyya le definì amaramente, le avevano rubato la maggior parte dei suoi costumi, parrucche ed ogni altra cosa di valore. Ma i suoi giorni fra le Ghawazi di Al Balyana erano comunque contati, poiché dopo alcuni spettacoli la polizia fece un raid in una Farah, e portò lei e le sue colleghe alla prigione, dove trascorsero la notte con i loro costumi, congelando. Un ufficiale disse a Khairiyya che se l’avesse presa di nuovo l’avrebbe uccisa. Poi fu formalmente schedata “come se fossi stata una grande criminale, un nemico pubblico, e non un’artista”. Visto che l’esperienza di Al Balyana non aveva augurato niente di buono per il suo futuro nella zona, riluttante, decise di lasciar perdere le Farahat là. Chiesi a Khairiyya se le Ghawazi di Al Balyana stessero ancora lavorando. Fino a quando ne aveva avuto notizia, sì: “La polizia dà loro la caccia e le imprigiona un giorno e loro semplicemente appaiono in un altro posto il giorno dopo”. E la gente di Hamadat, Qenawiyya, e gli altri paesi vicini a Qena dove le Ghawazi Mazin erano state popolari, ancora venivano assunte per le Farahat? Sì, un po’, e quando domandai ad alta voce se i paesani non avessero paura delle autorità, Khairiyya disse che tenevano una stretta sorveglianza per avvistare la polizia, e, appena la vedevano, “acchiappavano le danzatrici e le gettavano in mezzo ai campi coltivati”- i campi di canna da zucchero o qualunque cosa intorno al villaggio- per nasconderle. Questo, certo, era pericoloso; era troppo facile per una danzatrice, fuori, da sola, al buio, nei campi, essere molestata o persino assalita, specialmente nella confusione del raid. ln ogni caso, Khairiyya piangeva, la sua salute non era buona, e lei non poteva continuare molto con questo tipo di situazione. Sua sorella Su’ad più tardi mi raccontò che la polizia di Qena aveva specificamente ammonito Khairiyya di non lavorare nella zona, affermando che non la avrebbero potuta proteggere dagli irhabiyin, i terroristi religiosi. Così Khairiyya ha trascorso la lunga “stagione calda” con poco lavoro ed ancor meno introiti, sperando che la stagione turistica invernale fosse migliore. Ma l’inverno trovò Luxor inondata di danzatrici Orientali provenienti dal Cairo, danzatrici che affermava fossero “sahilin”, “facili”, disposte a scambiare favori sessuali per lavoro o per regalo, ed a fare spettacoli in ogni luogo d’incontro ed in ogni circostanza. Su’ad disse che alcune di queste danzatrici tentarono di farsi passare per danzatrici artistiche folkloristiche indossando in pubblico costumi folk, ma lei non si faceva convincere, per nulla, poiché rovinavano l’effetto con “trucco ed acconciature di stile straniero”. Pensò che fossero venute dal Cairo per paura degli irhabiyin: io pensai che più facilmente stavano soltanto cercando più lavoro, ed avevano udito che a Luxor c’era richiesta di danzatrici. Qualunque fosse la ragione, la loro quantità e facilità di reperimento avevano fuorviato le vere artiste folkloristiche; i musici stilocali, persino, si erano rivoltati contro le sorelle Mazin, disse Khairiyya, preferendo le più accondiscendenti danzatrici del Cairo. Ed il favore dei musicisti era importante per ottenere lavoro a Luxor, poiché molti impresari cittadini, spesso privi di esperienza nel settore organizzativo degli intrattenimenti, o provenienti da fuori regione, lasciavano ai musicisti il compito di consigliare o procurare le danzatrici, diversamente dalla gente del Sa’aid dicampagna, che conosceva e contattava direttamente le danzatrici. Khairiyya era l’ultimaGhawazi nell’area di Luxor; le sue vecchie compagne si erano sposate e si erano ritirate. E lei, esperta esponente di un’antica arte, lei, ancora giovane, le cui braccia e collo erano una volta rivestite d’oro, non poteva più mantenersi. Disperata, stava prendendo inconsiderazione un matrimonio combinato, ma, come disse, “Come potrei sapere se l’uomo sia buono? Piuttosto preferisco lavorare per mille anni che vivere un giomo con un uomo che odio”. E neppure voleva davvero “stare seduta in casa tutto il tempo, diventare grassa e dimenticare come si danza”. Mi aveva detto l’anno prima che persino se fosse stata comodamente sposata non avrebbe desiderato smettere completamente di lavorare, sia per mantenere una posizione di forza per trattare con suo marito, sia perché la fama delle BanatMazin non perisse.

tre danzatrici ghawazee

un gruppo di danzatrici ghawazee

Cercai di pensare a qualcosa che le assicurasse un adeguato, sicuro stipendio per renderla in grado di restare nel campo che aveva scelto, qualcosa, inoltre, che potesse incoraggiare la stranezza dell’arte Ghawazi di voler sopravvivere ancora per un po’ nonostante tutte le forze che vi si stavano organizzando contro, come una infausta congiunzione planetaria.   Ed una risposta si presentò in fretta, suggerita da un recente incontro con una allieva-danzatrice svedese, in viaggio per Luxor, che mi aveva chiesto se conoscessi una Ghawazi, che fosse disponibile a darle lezioni di danza. Riferii l’idea a Khairiyya, che ne fu entusiasta. Stabilimmo una cifra di 60 lire egiziane per una lezione di un’ora e mezzo- circa 18 dollari,secondo quanto era richiesto da una danzatrice in una simile circostanza al Cairo, Nadia Hamdi. Questo non avrebbe risolto i problemi immediati di Khairiyya, ma, se avesse in qualche modo potuto continuare per qualche mese fino a che il mondo dell’ “Istituto Mazin per le arti folkloristiche” avesse successo nella comunità internazionale di danza, bene, l’idea era buona.

Se. Se avesse potuto continuare. Se le danzatrici di Al Balyana avessero potuto continuare, se la gente del Sa’aid avesse potuto continuare, se gli amanti dell’arte e della libertà- le due cose sembrano in qualche modo aggemellate nel Medio Oriente- avessero potuto continuare. Non si deve pensare che quella di Khairiyya Mazin sia una storia isolata; dato l’attuale clima di inimicizia e di intolleranza religiosa, di incompetenza burocratica, di recessione e di occidentalizzazione, simili storie si potrebbero scoprire in tutto il Medio Oriente. Epoche recenti hanno visto la “danse orientale” messa fuori legge in paesi dalla Libia all’lran, ma la”danse orientale” è una forma eclettica, sempre in evoluzione, e la sua soppressione in unpaese, semplicemente tende a causarne la proliferazione in altri paesi ed ad accelerarne la continua mutazione. Ma se le Ghawazi saranno a lungo represse da questa situazione critica, probabilmente moriranno, e se moriranno, una delle ultime maggiori e particolari tradizioni coreutiche Medio Orientali moriranno con loro. L’arte delle Ghawazi è certo tenace, sopravvivendo alla fine del secolo XX, quando altre forme sono scomparse. Se loro, inoltre, scendessero nella strada dell’estinzione, potrebbero le altre tradizioni di danza del MedioOriente resistere ancora per molto? O credenti: “lnna Allah jhamilun wa yahubb al jamal” “ln verità Dio è bello ed ama ciò che èbello”.Per chi sia interessato a lezioni con le Ghawazi:Khairiyya abita a circa un miglio a nord della stazione dei treni di Luxor, vicino ai binari dellaferrovia. Mostrate l’indirizzo che segue a qualunque guidatore di pullman o taxi, ed il prezzo non costerà più di 5 l. e. (circa 1 dollaro e mezzo) da qualunque luogo in città; non prendete un pullman, anche se è facile trovarne un altro vicino alla casa di Khairiyya. Se avete un pezzo di musica preferito adatto alla danza Ghawazi, non esitate a prenderlo; se vi offrisse un tè, non esitate ad accettarlo.

The post Gawazi sull’orlo dell’estinzione first appeared on Danza e Musica Araba.]]> La musica Araba e la Musica Spagnola: Prologo https://danzaemusicaaraba.com/la-musica-araba-e-la-musica-spagnola-prologo/ Thu, 29 Mar 2018 15:01:28 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=213 La musica Araba e la Musica Spagnola: Prologo Julian Ribera y Tarrago La Musica arabe y su influencia en la espanola. Revision, prologo y semblanza biografica por Emilio Garcia Gomez Mayo de Oro, Madrid...

The post La musica Araba e la Musica Spagnola: Prologo first appeared on Danza e Musica Araba.]]> La musica Araba e la Musica Spagnola: Prologo

Julian Ribera y Tarrago
La Musica arabe y su influencia en la espanola.
Revision, prologo y semblanza biografica
por Emilio Garcia Gomez
Mayo de Oro, Madrid 1985

la danza orientale

la danza egiziana

Questa è una riedizione di un libro del 1927. L’autore, Don Julian Ribera, era un valenzano che si interessava con grande passione a una enorme quantita di soggetti. In tutte le sue opere sostenne sempre tesi originali, che rivoluzionarono in qualche modo l’opinione degli eruditi.

Suppose l’esistenza di una letteratura andalusa romancera, nella Spagna Musulmana e 14 anni dopo la sua morte furono raccolte le prove che convalidarono chiaramente la sua teoria.(…)

Racconta molto bene la storia della musica sotto gli Ommeyadi e gli Abbasidi e la sua evoluzione nella musica della Spagna musulmana. Due fenomeni furono all’epoca molto determinanti: la nascita di una poesia a strofe che generò il Moashshah (a cavallo fra i secoli IX e X), e la nascita dello Zejel (fra i secoli Xl e XII). Io stesso non ero mai stato convinto che il Moashshah fosse un genere musicale, ma piuttosto letterario, e che i Moashshahat fossero originariamente cantati in coro, come forma di spettacolo, benché sia evidente che venissero messi in musica.

Ribera ritrova fra i testi musicali popolari l’origine araba, offrendo le chiavi per leggere anche le Cantigas de Santa Maria del Rey Sabio, del secolo Xlll. (…) Uno dei maggiori critici delle tesi di Ribera sulle Cantigas fu il chierico catalano Mosén Higinio Angles, che non conosceva la lingua araba né le sue strutture metriche e poetiche e neppure Ia musica araba. Angles cerco di dare lustro alle Cantigas negandone alcuna origine araba, e fece cio a dieci anni dalla morte di Ribera,per essere sicuro che nessuno potesse contestare. Ma i discepoli di Ribera, pur non avendone l’erudizione musicale, possono confutare ugualmente le tesi di Anglés basandosi sulla metrica delle Cantigas, assolutamente araba: per il 95% le Cantigas sono Moashshatat persiane, e pare un paradosso poco probabile che venissero composte su musica liturgica, o anche soltanto che la musica liturgica venisse loro posta in seguito. (…)

Ribera fu il primo titolare di una cattedra universitaria di arabo in Spagna, nel 1887, a Saragozza.

Fece cose assolutamente incredibili per quell’epoca e per quella zona: formò allievi, creò riviste, pubblicò una “Collezione di Studi Arabi”, fondò una casa editrice che stampò parecchi testi in lingue orientali, fotografò codici, tenne conferenze con tesi a volte audaci, che provocarono entusiasmi e polemiche. Il suo interesse centrale fu sempre quello della storia politica dell’Islam spagnolo, ma si occupò di un largo raggio di argomenti: fu fra i primi in Europa a interessarsi della civilta islamica e delle sue inevitabili e innegabili influenze sulla cultura cristiana medievale (le origini della lingua castigliana, della lirica provenzale, dell’epica europea, le influenze della musica araba su quella cristiana popolare medievale, le relazioni letterarie fra Dante e l’lslam).(…)

Emilio Garcia Gomez

The post La musica Araba e la Musica Spagnola: Prologo first appeared on Danza e Musica Araba.]]>
Musica araba e musica spagnola https://danzaemusicaaraba.com/musica-araba-e-musica-spagnola/ Thu, 29 Mar 2018 14:58:09 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=211 Musica Araba e Musica Spagnola: Introduzione Questo testo del 1927 e molto interessante poiché è uno dei pochissimi in lingua occidentale che ci racconti in modo esauriente e particolareggiato delle origini della musica araba,...

The post Musica araba e musica spagnola first appeared on Danza e Musica Araba.]]>
Musica Araba e Musica Spagnola: Introduzione

Questo testo del 1927 e molto interessante poiché è uno dei pochissimi in lingua occidentale che ci racconti in modo esauriente e particolareggiato delle origini della musica araba, ai tempi della prima diffusione dell’ Islam, facendo riferimento a una grande quantità di testi storici arabi, che esistono soltanto in lingua araba.

Ribera è uno studioso che approfondisce e ama la materia delle sue ricerche, e ci offre un quadro chiaro e completo non solo della storia della musica araba delle origini, ma anche del suo contesto sociale e culturale, offrendoci grandi spunti di riflessione anche su ciò che la musica araba è diventata al giorno d’oggi.

Non si tratta di una traduzione letterale, ma di un riassunto (per la verità ben poco riassunto…data la ricchezza di particolari e di nomi) dell’opera, che fra l’altro proseguirebbe oltre con capitoli sui compositori spagnoli, sulla musica di corte spagnola, su ciò che i canti arabi divennero nella penisola iberica e sull’interpretazione delle Cantigas de Santa Maria, dei canti dei trovatori, dei trovieri e dei minnesinger, dei quali Ribera riconosce un’origine assolutamente araba.

Questi temi sono molto interessanti, ma non sono stati tradotti nella dispensa perché esulano un po’ dall’argomento di studio del corso.

Per capire ciò di cui si parla nel capitolo V, è necessario spendere due parole sul significato musicale del termine “armonia”. Si parla di armonia per indicare che, quando in una composizione musicale si stanno suonando contemporaneamente due o piu note, il loro suono deve corrispondere a certi criteri estetici stabiliti dal gusto dell’epoca: le note devono essere dunque “in armonia fra loro”. Spesso si dice che nella musica araba non esiste il concetto di armonia, poiché di solito in una composizione tutti gli strumenti suonano contemporaneamente la stessa melodia, cosa che non accade nella musica moderna occidentale, nella quale ogni strumento dell’orchestra o anche del piccolo gruppo suona una melodia sua propria e diversa da quella degli altri strumenti, e che però produce insieme con essi una musica complessa, che risulta gradevole per il nostro orecchio e per i nostri gusti musicali. Ribera, essendo uno studioso estremamente puntiglioso,osserva che non è proprio così vero che non siano mai esistiti nella musica araba dei criteri estetici di sovrapposizione delle note, qualcosa di simile, se non ad una totale sovrapposizione di melodie diverse, almeno agli accordi che si potrebbero produrre, ad esempio, con una chitarra.

Credo che il suo scopo, in tale ricerca, sia quello di mostrare che anche ciò che apparentemente sembrerebbe essere nato al 100% in seno alla musica occidentale trovava in realta le sue origini,  almeno in germe, nella musica araba, che per Ribera e la Grande Madre della musica europea.

La trascrizione dei nomi arabi, passando da una lingua all’altra può cambiare, stravolgendo a volte completamente i suoni. Nella traduzione la traslitterazione dei nomi in arabo è fatta secondo i suoni della lingua italiana, benché sul testo originale, in spagnolo, sia spesso diversa. In particolare, il nome dei Mosuli e stato qui lasciato come nel testo originale, ma si tenga presente che altrove viene indicato come Mausili.

The post Musica araba e musica spagnola first appeared on Danza e Musica Araba.]]>
Flessibilità regale https://danzaemusicaaraba.com/flessibilita-regale/ Wed, 28 Mar 2018 19:10:20 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=178 Articolo uscito D la Repubblica delle Donne, allegato di La Repubblica del 24/09/2005 Movimento – Un lavoro muscolare fluido che dà armonia Di Letizia Michelozzi E’ una rielaborazione delle danze tradizionali egiziane fatta dalla...

The post Flessibilità regale first appeared on Danza e Musica Araba.]]>
Articolo uscito D la Repubblica delle Donne, allegato di La Repubblica del 24/09/2005

Movimento – Un lavoro muscolare fluido che dà armonia

Di Letizia Michelozzi

E’ una rielaborazione delle danze tradizionali egiziane fatta dalla danzatrice e coreografa Suraya Hilal. Si chiama Hilal Dance® e, grazie alla sua qualità, è entrata a far parte delle arti teatrali, evitando la banalizzazione degli spettacoli a uso dei turisti. Qui grazie a un profondo e naturale lavoro corporeo, il movimento risulta organico, fluido ed elegante. Il danzatore si muove in modo morbido ma senza mollezza, sapendo dosare la forza muscolare nel modo più efficace. Perciò, la qualità del movimento e la postura migliorano rapidamente.

“Nella nostra società, la conoscenza e la coscienza del corpo sono piuttosto scarse”, spiega Sabina Todaro insegnante autorizzata in Italia, “tanto che ci rendiamo conto di avere una schiena solo quando ci fa male. Il primo passo verso un uso sano e rispettoso del corpo è quello della presa di coscienza del movimento. Quanto più saremo presenti e consapevoli nel nostro corpo tanto meglio lo potremo muovere.

In questo senso, il lavoro della Hilal Dance costruisce una coscienza corporea che rende possibile alla persona abitare il proprio corpo con una qualità nuova e più profonda. Attraverso il lavoro sul proprio baricentro, sull’allineamento, sull’elasticità e sul respiro si diverrà in grado di utilizzare appieno le proprie potenzialità, rendendo addirittura possibile il recupero della mobilità persa dopo incidenti”. Il segreto di questa magia è accessibile a tutti, attraverso l’integrazione olistica del corpo che permette di muoversi in maniera integrata, cioè ogni sua parte si muove insieme alle altre, in un tutto unico, in una coordinazione che si basa sulla natura stessa dell’organizzazione neurologica umana. corrieredellaseradanza

“Assecondare il movimento naturale del corpo aiuta a trovare armonia anche nella vita di tutti i giorni e in economia, senza sprecare energia”, continua l’esperta. “Così, si diventa non solo eleganti ma anche efficienti, evitando le cattive abitudini posturali e motorie che rendono il corpo rigido, favorendo l’insorgere di dolori muscolari e disturbi articolari”.

Altri benefici della Hilal Dance sono l’allineamento delle catene muscolari sottoposte alla forza di gravità, il rinforzo (per danzare bene occorre che i muscoli siano tonici ma privi di tensioni), il dosaggio dell’energia nel movimento (muoversi in modo elegante significa sapere quanta forza mettere nel gesto per poter interpretare tutte le sfumature della musica ed esprimerla con grazia). Infine, l’uso attento del respiro obbliga a muovere il diaframma in modo attivo, a percepire la collaborazione fra muscolatura addominale e attività respiratoria per rendere disponibili maggiori quantità di ossigeno. “Il diaframma dà sostegno alla parte alta del corpo”, sottolinea la Todaro. “Quando si contrae produce lo stesso effetto sui muscoli del pavimento pelvico, sostenendo gli organi interni. Se respirando non si usa correttamente il diaframma, sarà necessario sfruttare muscoli secondari, situati nella parte alta del torace, che disturbano la corretta posizione di collo e testa”.

Prima il respiro

La preparazione iniziale prevede un lavoro corporeo simile alo yoga e allo stretching che si svolge in piedi e a terra con esercizi di respirazione, allungamento, centratura, mobilità e si effettua sempre in modo solistico, considerando il corpo come n tutto unico. Ecco perché gli esercizi risultano molto fluidi, simili a una danza, inglobando sempre gambe, braccia, testa e persino lo sguardo.

In un secondo tempo, l’attività diventa più specifica e si basa suo movimento chiave della Hilal Dance: il pendolo (un movimento che si compie lateralmente e verticalmente, che ammorbidisce le linee curve del corpo), la forbice (una torsione che ricorda il modo di camminare degli animali e porta a essere più eleganti), la spirale e i giri (movimenti circolari utili per contattare il proprio baricentro, trovare più equilibrio e un nuovo modo di rapportarsi con lo spazio). Questa parte della lezione viene accompagnata solo dal ritmo o da una melodia.

repubblicadanza_150Infine, si passa alla danza vera e propria con attenzione alla qualità del movimento, all’uso dello spazio, all’espressività, alla relazione con la musica e con il pubblico, alla messa in scena teatrale, all’improvvisazione.

Scarica l’immagine dell’articolo di D di Repubblica dedicato alla Hilal Dance

o scarica il testo dell’articolo in pdf

Il Mosaico Danza – Via Pomezia 12 / Via Passeroni 6 Milano – C.F. 97205050152. Sede Legale: Via Correggio 22 Milano.

Per info su corsi lezioni e seminari: TEL. 02.5831.7962 – CELL. 339.2130364

Email: [email protected]

The post Flessibilità regale first appeared on Danza e Musica Araba.]]>
Ghawazi https://danzaemusicaaraba.com/ghawazi/ Wed, 28 Mar 2018 18:00:03 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=154 Ghawazi Vedi anche: “Ghawazi sull’orlo dell’estinzione” di Edwina Nearing Note sugli zingari egiziani estratto da “The serpent of the Nile” di Wendy Bonaventura Il termine Ghawazi è plurale femminile di Ghazi, “colui che combatte...

The post Ghawazi first appeared on Danza e Musica Araba.]]>

Ghawazi

Vedi anche:

“Ghawazi sull’orlo dell’estinzione” di Edwina Nearing

Note sugli zingari egiziani estratto da “The serpent of the Nile” di Wendy Bonaventura

Il termine Ghawazi è plurale femminile di Ghazi, “colui che combatte per la fede, o che sottomette degli infedeli”. Il femminile singolare è Ghaziyah. Da non confondere con la ‘Awalim (vedi l’articolo dedicato)

E’ il nome degli zingari egiziani.

Affiliate ad una tribù le cui origini sono rimaste misteriose, le Ghawazi dicono di derivare da quei Barmecidi di cui Haroun al Rashid annientò la potenza. Esse si chiamano fra di loro Barameki o Barmeki ed erano fiere del sangue beduino che, dicevano, scorreva nelle loro vene. Il loro naso aquilino ed il loro colorito non molto più scuro di quello delle donne del sud dell’Europa non smentivano questa pretesa.

Fin dalla loro più tenera infanzia votate alla galanteria, venivano messe, appena adolescenti, nelle mani di qualche straniero che le sbarazzasse della verginità, e, una volta compiuto questa specie di sacrificio, le si dava in spose a qualche giovane della tribù.

Da quel momento, dice Auriant, avevano tutta la libertà di prostituirsi, oltre che di lavorare come danzatrici. Per questa duplice professione pagavano doppie tasse al governo egiziano, ed avevano regolari permessi di lavoro.

Tradizionalmente nomadi, secondo l’usanza dei beduini, le Ghawazi si spostavano per animare i Mouled (fiere), e si trovavano quindi un po’ ovunque in Egitto, sempre ai margini dei centri abitati, sotto le tende o nelle capanne di fango secco. Quelle del Cairo abitavano nel khan detto Hosn bardak.

Poste sotto la protezione di uno sheikh, erano sottoposte alla sorveglianza di uno Ouali, al quale pagavano una tassa e che le autorizzava ad esercitare la loro professione nei crocevia e nelle piazze pubbliche. Le accompagnavano dei suonatori di rababah o di mizmar, oppure delle Ghawazi anziane con il tamburello. Danzavano a viso scoperto, in mezzo ad un grande raggruppamento di persone. Da dietro i Mousharrabieh, balconi e finestre protetti da una griglia, le donne lanciavano loro pezzi di moneta per ricompensarle.

Accompagnavano persino i pellegrini alla Mecca, ed al ritorno, da buone fedeli, prendevano il titolo di Hadji.

Quando Bonaparte invase l’Egitto, le Ghawazi lavorarono tantissimo per i soldati, che erano per loro una vera manna dal cielo. L’affare era talmente grosso che l presenza delle Ghawazi nell’accampamento militare divenne un problema. Il generale responsabile dei soldati francesi chiese a Napoleone di provvedere. Le autorità egiziane fecero una retata, e tagliarono la testa a ben 400 Ghawazi.

Questa esecuzione non intimidì molto le sopravvissute, che gironzolavano dovunque ci fossero soldati.

Dopo la partenza dell’armata d’Oriente, le Ghawazi si dedicarono ai soldati del pascià: Venere seguiva Marte in tutti i suoi spostamenti!

Così tanto decantate, così tanto screditate dai viaggiatori, le Ghawazi, confuse sempre di più con le Almées, usurpandone il prestigio, erano divenute tanto celebri quanto le bayadere dell’India.

Il giudizio morale era pessimo, soprattutto perché gettava discredito su donne comunque musulmane, che per lavoro si gettavano persino sui cristiani europei: nel 1834 Mohammed Ali decise di fermare la sfrenata licenziosità delle Ghawazi.

Ma il problema era grosso: Mohammed Ali non era affatto un musulmano fanatico, e neppure un devoto, fece fatica a rinunciare al grosso introito finanziario prodotto dalle corporazioni di Ghawazi.

Alla fine dovette vietare il Cairo ed i suoi dintorni alle Ghawazi, pena le bastonate e, in caso di recidiva, l’esilio e i lavori forzati ad Esna.

Il divieto non toccò le ‘Awalim.

Le Ghawazi non ebbero che questa alternativa: o inquadrarsi, sposandosi con qualche uomo rispettabile, o raggiungere esse stesse qualche città dell’Alto Egitto.

Ecco che le Ghawazi divennero, insieme con il tempio consacrato a Kneph, recentemente disinsabbiato, la principale attrattiva dell’Alto Egitto. Risalendo o discendendo il Nilo, le chiatte battenti bandiera inglese, francese o americana vi facevano scalo, poiché i turisti ci tenevano assolutamente a vedere le “Almées” e le loro danze..

Flaubert nel suo viaggio in Egitto incontrò una Ghaziya, di cui parlò lungamente nelle sue “Correspondences”, Kutchiuk Hanem, dalla quale fra l’altro contrasse la sifilide che lo portò alla tomba.

Bibliografia:

Auriant “Koutchouk – Hanem l’Almée de Flaubert” Paris, Mercure de France, 1943

Articolo “Baladi personae” di Suraya Hilal, pubblicato sul sito www.hilaldance.co.uk

“Les observations de plusieurs singularités et choses mémorables trouvées en Gréce, Asie, Judée, Egypte, Arabia et autres pays étrangers” redatto in tre libri da Pierre Belon, di Mans. Paris 1553

“Voyage dans la Haute et Basse-Egypt” , C.S. Sonnini, Paris, an VII

“Arabic Proverbs, or the manners and customs of…”, John Burckhardt, London 1830

“Modern Egyptians” , E. W. Lane, London 1935

“Modern Egypt and Thebes”, Sir Gardner Wilkinson, London 1843

“The Jew, the Gipsy and El Islam” , Si Richard F. Burton, London 1898

Il Mosaico Danza – Via Pomezia 12 / Via Passeroni 6 Milano – C.F. 97205050152. Sede Legale: Via Correggio 22 Milano.

Per info su corsi lezioni e seminari: TEL. 02.5831.7962 – CELL. 339.2130364

Email: [email protected]

The post Ghawazi first appeared on Danza e Musica Araba.]]>
Rituale Somalo Mingis https://danzaemusicaaraba.com/rituale-somalo-mingis/ Wed, 28 Mar 2018 17:50:06 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=150 Rituale Somalo Mingis Somalia: La terapia coreutico-musicale del Mingis di Franceso Giannattasio pubblicato su “Culture musicali. Quaderni di etnomusicologia” 1982 Zar è un termine non semitico che si ritiene derivi dal nome del Dio-cielo...

The post Rituale Somalo Mingis first appeared on Danza e Musica Araba.]]>

Rituale Somalo Mingis

Somalia: La terapia coreutico-musicale del Mingis

di Franceso Giannattasio

pubblicato su “Culture musicali. Quaderni di etnomusicologia” 1982

Zar è un termine non semitico che si ritiene derivi dal nome del Dio-cielo cuscita, Jar.

Infatti le popolazioni che lo praticano sono di ceppo cuscitico (cioè relativo all’insieme delle lingue africane non sudanesi e non semitiche dell’Abissinia e delle regioni costiere dell’oceano Indiano e del mar Rosso), e il culto può essere considerato una sopravvivenza dell’antica religione cuscita (che oltre al Dio Jar elencava una serie di spiriti benevoli e maligni), in zone comunque convertite all’Islam o al Cristianesimo. I nomi e le collocazioni degli spiriti cambiano ora in relazione alla religione ufficialmente seguita dal popolo che pratica lo Zar.

Spesso lo Zar è mal visto dalle autorità, e deve pertanto essere praticato in segreto, poiché è considerato un segno di non modernità e di superstizione, anche se non viene apertamente osteggiato. Spesso le persone vi ricorrono sperando di alleviare le proprie sofferenze, senza credere profondamente ai Djinn ed al loro valore religioso: questo può essere un sintomo del cambiamento che la società sta evolvendo a partire dal processo di urbanizzazione e di modernizzazione. Oltre a bruciare l’incenso, l’incensiera viene utilizzata per scaldare e tendere le pelli dei tamburi. Durante la cerimonia, viene fatto largo uso di profumi.

Gli adepti intervengono vestiti di colori particolari, in relazione ai loro djinn. Incenso, profumo e vesti colorate servono a disporre un’atmosfera favorevole al Djinn, in modo che si manifesti. Per questo, gli oggetti assumono un carattere sacro, e vengono manipolati soltanto dall’officiante e dai suoi aiutanti. Dal punto di vista filosofico, questi oggetti sono preparati per lo spirito, ma in realtà contribuiscono a creare nelle persone che partecipano alla cerimonia una ipereccitazione sensoriale, che faciliterà la transe ed il coinvolgimento.

Il ritmo usato nella cerimonia è binario, in 2/4, su quattro tempi, a velocità piuttosto costante: dum (di 3 sedicesimi) tak (di 1 sedicesimo) dum (di 1 ottavo) tak (di 1 ottavo). La melodia si basa su un sistema pentatonico e non prevede intervalli superiori all’ottava. Il canto è spesso a frasi alternate, con ripetizione da parte di gruppi diversi della stessa frase musicale o con risposte diverse nei due gruppi. I vari canti sono associati ai diversi spiriti, di cui esaltano le caratteristiche ed i desideri, e si riducono a volte alla continua ripetizione del nome del Djinn. Il ritmo ad un certo punto si fa costante, in pulsazioni di 1 ottavo, e su questa base si creano complessi suoni creati col battito delle mani, accompagnati ada frasi semplici di canto, spesso ripetute come un ostinato. Un tale tipo di ritmo crea senza dubbio una eccitazione sensoriale. Sono comunque sempre i musicisti a determinare la struttura delle musiche, e mai gli adepti, che partecipano ai canti in modo proporzionale al loro livello di approfondimento del rituale. Tutta la cerimonia è accompagnata da una grande quantità di grida e di zagharid (grido particolare, prodotto dalle donne arabe di tutte le regioni, che consiste in un urlo acutissimo che viene reso vibrante da rapidi movimenti della lingua, come se si pronunciasse un velocissimo “lalala”, cioè un movimento verticale della lingua, tipicamente medio orientale, oppure un movimento laterale, orizzontale, più tipicamente maghrebino).

La danza del posseduto avviene dapprima in forma di camminate saltellanti. Più ci si avvicina alla transe e più la danza si fa convulsa: gli spostamenti nello spazio si riducono ed il corpo oscilla e trema, la testa e gli arti oscillano. Spesso in questa fase l’adepto grida e piange.

La danza del conduttore può culminare in una serie di giri vorticosi, che esprimono la sua funzione di medium, e non di posseduto. Deve poter mantenere il controllo della situazione per poter dare assistenza agli adepti, e non sembra andare in transe. La musica svolge un ruolo fondamentale nel rito, scandendone i tempi e le modalità, ed è musica particolare, destinata soltanto al rito stesso, e perciò dispone i partecipanti in uno stato al di fuori della quotidianità, in una dimensione magico-religiosa.

Perché il rituale possa essere considerato tale, dunque, devono essere presenti tre aspetti analoghi a quelli che Piaget elenca a proposito del gioco infantile:

il piano simbolico- nel senso del significato rituale;

il piano delle regole- nel senso delle regole che ordinano la cerimonia;

il piano sensomotorio- nel senso dei comportamenti dell’individuo oggetto della terapia.

L’esistenza del mito comporta l’esistenza della cerimonia che a sua volta determina la possibilità della manifestazione della reazione comportamentale (danza, transe e tutte le espressioni del Djinn). In qualche modo l’officiante presiede alla funzione rituale, il gruppo di adepti a quella cerimoniale, e l’ammalato vive le sue reazioni comportamentali in una sorta di gerarchia. La musica stessa assolve alle tre funzioni: è simbolica, nel richiamare i Djinn, determina lo svolgimento del cerimoniale, ed offre al paziente una serie di stimolazioni psicomotorie che vengono integrate da altre, dirette però sempre dall’andamento della musica e da esso dipendenti (contatti con l’officiante ed altri adepti, stimolazioni odorifiche, visive, cinestesiche e della disposizione spaziale delle persone).

Il Mosaico Danza – Via Pomezia 12 / Via Passeroni 6 Milano – C.F. 97205050152. Sede Legale: Via Correggio 22 Milano.

Per info su corsi lezioni e seminari: TEL. 02.5831.7962 – CELL. 339.2130364

Email: [email protected]

The post Rituale Somalo Mingis first appeared on Danza e Musica Araba.]]>
Il rituale Zar https://danzaemusicaaraba.com/il-rituale-zar/ Wed, 28 Mar 2018 17:12:58 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=142 Il rituale Zar – “Trance e danza estatica” di Erika Bourguignon – “I rituali estatici” di Giovanni Calendoli – Lo zar in Somalia, attraverso il racconto del romanzo “Aman, una giovane donna dall’inferno alla...

The post Il rituale Zar first appeared on Danza e Musica Araba.]]>

Il rituale Zar

“Trance e danza estatica” di Erika Bourguignon

– “I rituali estatici” di Giovanni Calendoli

– Lo zar in Somalia, attraverso il racconto del romanzo “Aman, una giovane donna dall’inferno alla libertà” di Virginia Lee Barnes e Janice Boddy

– “Donne e spirito di possessione nell’Omdurman in Sudan” di Samia Al Hadi Al Nagar

– “Somalia: La terapia coreutico-musicale del Mingis” di Francesco GiannattasioSi tratta di un rituale probabilmente antichissimo, di certo preislamico, che esprime una religiosità animistica di tipo africano, presente in una regione molto vasta, che si estende dal sud dell’Egitto al Sudan, alla Somalia, allo Yemen, forse persino all’Arabia Saudita (non è un fatto certo).

Forme simili di rituale si ritrovano anche in altri paesi, come l’Etiopia o alcune zone dell’africa nera, o nei paesi nord africani, all’interno delle pratiche iniziatiche tipiche dei culti estatici dei santi.

Anche la Lila degli Gnawa, nel sud del Marocco, presenta con il rituale Zar analogie sorprendenti (ma non molto, considerando che gli Gnawa sono i discendenti degli schiavi sudanesi dei ricchi signori marocchini…).

Di fatto i rituali legati alla Pizzica salentina appartengono alla stessa tipologia.

L’Islam ha inglobato in sé questo rito perché la gente avrebbe comunque continuato a praticarlo, e per una religione ufficiale è sempre più prudente evitare la presenza, nel suo territorio di influenza, di manifestazioni di tipo religioso al di fuori del suo controllo. Inoltre, poiché la gente era da sempre legata a questo rituale, considerandolo efficace, sarebbe stato assurdo negarne la validità.

Per finire, per proporre una nuova religione sovrapponendola a quella vecchia, si devono comunque soddisfare tutti i bisogni della comunità, meglio, o almeno in modo equivalente a ciò che offrivano i vecchi culti: la funzione sociale, culturale e terapeutica dello Zar non poteva essere sostituita da nulla altro, ed ancora oggi, nonostante la ufficiale rinuncia a tali pratiche da parte dell’élite bempensante e colta (che ovviamente guarda al modello occidentale, rifiutando le tradizioni come non-cultura, o come cose di cui vergognarsi), il rituale viene largamente praticato, magari di nascosto, preferendolo di certo ai rimedi terapeutici proposti dalla medicina occidentale.

La danza

Dal punto di vista della danza, il rituale rappresenta una porta aperta verso la danza pura, totalmente spontanea e frutto di esigenze reali, primarie, di sopravvivenza e di espressione.

Non è una forma di spettacolo, in nessun modo. Forse si può considerare una forma di festa, senza dubbio un’occasione di ritrovo e di comunicazione, ma rimane comunque un ambito privilegiato dove non entrano né turisti né commerci, senza alcun segno di teatralità e dove quindi l’essere umano si potrà permettere di essere “solamente” se stesso.

Una testimonianza occidentale

Nel 1920 Joseph Mc Pherson, professore di inglese e futuro capo della polizia segreta in Egitto, fu testimone di una cerimonia di Zar, in una casa nei dintorni de Il Cairo. Così racconta:

“…Non era né coranico, né islamico, né religioso. Non avevo mai visto nulla di simile sino ad allora in Egitto. (il canto faceva) parecchie volte riferimento al sacrificio di una affascinante fanciulla il cui sangue era stato tramutato il fiore… Ero certo che lo Zar doveva essere una pratica importante, risalente ai misteri ellenistici, o al culto di Baal e Tammuz.”

La cerimonia si sviluppava fra donne danzanti in mezzo a fiori, frutti, noci e candele accese. Al culmine dell’enfasi, le donne caddero a terra, e la scena piombò in un improvviso silenzio. Allora vennero sacrificati alcuni animali, e la Aalima, la sacerdotessa della cerimonia, si bagnò di sangue il viso e gli abiti.

“Questo pareva produrre un effetto magico, poiché la loro frenesia precedente era stata poco calorosa, in rapporto allo scatenamento demenziale che le possedeva ora. Si strappavano i capelli con le mani sanguinanti, gesticolavano e lanciavano urla forsennate… In qualche momento si curvavano all’indietro finché il loro corpo formava un arco vibrante e convulso, riposandosi al suolo sui talloni e sulla parte posteriore della testa, mentre i muscoli del loro corpo continuavano la danza con incredibili contorsioni… Molte donne, in un delirio orgiastico, sempre danzando, estrassero dal loro petto e tennero in mano, nascondendoli con cura, piccoli oggetti che tentai invano di vedere”

Le donne si misero a cantare dei canti che, secondo Mc Pherson, erano “erotici, e al loro iniziare questi canti, le danze divennero indecenti”. A questo punto lo straniero fu allontanato.

Risulta molto strano che uno straniero, e per di più un uomo sia stato ammesso ad un tale rituale, ma forse allora il moralismo in Egitto era diverso da oggi, e, tutto sommato, probabilmente l’europeo vide soltanto una parte del rito, tanto che non menziona affatto i djinn o i rituali di possessione ad essi legati. Ovviamente, però, non manca di giudicare il carattere “indecente” di tali danze…!

 

Il Mosaico Danza – Via Pomezia 12 / Via Passeroni 6 Milano – C.F. 97205050152. Sede Legale: Via Correggio 22 Milano.

Per info su corsi lezioni e seminari: TEL. 02.5831.7962 – CELL. 339.2130364

Email: [email protected]

The post Il rituale Zar first appeared on Danza e Musica Araba.]]>
Danza egiziana nel secolo XXI https://danzaemusicaaraba.com/danza-egiziana-nel-secolo-xxi/ Wed, 28 Mar 2018 17:09:13 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=140 Danza egiziana nel secolo XXI Raqs Sharqi (raqs: danza; sharqi: orientale) è il nome attribuito alla danza solistica dell’Egitto, e si riferisce in specifico alla danza che viene accompagnata dalla musica classica. La musica...

The post Danza egiziana nel secolo XXI first appeared on Danza e Musica Araba.]]>
Danza egiziana nel secolo XXI

Raqs Sharqi (raqs: danza; sharqi: orientale) è il nome attribuito alla danza solistica dell’Egitto, e si riferisce in specifico alla danza che viene accompagnata dalla musica classica. La musica classica araba porta anche il nome Sharqi.

La cultura della danza egiziana conta diversi generi, fra i quali i più importanti sono il Raqs Sha’abi (folkloristico), il Raqs Baladi (folkloristico urbano) ed il Raqs Sharqi (Classico). Il danzatore Raqs Sharqi può esibirsi in tutti e tre i generi.

Descrizioni della danza egiziana ai tempi dei romani suggeriscono che la danza sia esistita sia esistita in forme simili almeno da 1.000 anni (Hilal 1989).

L’uso del termine Raqs Sharqi per indicare questa forma di danza potrebbe avere una origine più recente, ai tempi del colonialismo Britannico. Durante il governo Britannico coloniale (1882-1952), la musica e la danza occidentali hanno permeato le arti dello spettacolo n Egitto. In reazione a questo sapore occidentale, emerse un forte orgoglio nazionale nella musica e nello spettacolo per ciò che era autenticamente Egiziano- Arabo o “asil” (Danielson 1997). Il Raqs Sharqi era per definizione Asil, poiché esprimeva l’estetica egiziana o orientale in contrapposizione con il nuovo balletto o il music hall occidentali.

Tradizionalmente, la danza era presente a tutti i livelli nella società egiziana, dalla corte reale ai fellahin (contadini), e i danzatori venivano regolarmente assunti per ravvivare le celebrazioni familiari come nascite e matrimoni. I danzatori stessi si dividevano in categorie che rispecchiavano i livelli della società, dalle acculturate awalim (donne colte) che fornivano intrattenimenti privati in case privilegiate, giù sino all’umile Ghaziya, che danzava pubblicamente per la strada.

Durante gli ultimi tre secoli la colonizzazione e l’industrializzazione hanno reso i danzatori emarginati finanziariamente e socialmente, e la forme d’atre ha subito un grave declino. In vari momenti a partire dall’invasione di Napoleone (1798) sino alla fine del governo Britannico (1952) i soldati francesi e inglesi stazionavano in Egitto, e questi uomini, insieme con altri viaggiatori europei, fraintesero la audace, espressiva natura della danza ed incoraggiarono le danzatrici di strada, le quali erano fra le poche donne disponibili alla pubblica vista degli stranieri, a volgarizzare la loro danza. Durante il governo di Mohammed Ali (1805-1848), le danzatrici venivano pesantemente tassate e frequentemente impedite nell’esibirsi al Cairo nel tentativo di fermare scambi immorali fra le Ghawazee (danzatrici di strada) e i soldati stranieri (Van Neuwkerk 1995). Queste severe misure posero in atto un circolo vizioso: le tasse e i divieti impedirono alle danzatici più povere di ottenere ingaggio rispettabili nelle celebrazioni familiari e le spinsero verso il pubblico europeo, che si aspettava da loro che rendessero erotica la loro danza. Come la natura della danza degenerò ai più bassi strati della società, il rispetto per i danzatori nella cultura egiziana declinò pure.

Verso la metà del secolo XX la danza egiziana non poté più essere riconosciuta come una rappresentazione della cultura. La forza che il Raqs Sharqi deve aver avuto un tempo può soltanto essere immaginata qui e là grazie a danzatrici che hanno preservato qualche elemento della forma tradizionale. Le danzatrici Ghawazee dei Sai’id, la danza Baladi di Suheir Zaki, lo stile Baladi e Cassico di Taheyya Carioca e Naima Akif sono buoni esempi del Raqs Sharqi nel secolo XX, ed offrono un parziale ingresso nella perduta forza dello stile. Queste danzatrici dimostrarono un autentico modo indigeno di danzare, anche se nessuna di esse espresse la grande forza della musica egiziana. La nascita di nuove forme di spettacolo durante il secolo XX, come il cinema ed i locali notturni, può parzialmente spiegare il depauperamento degli stili, poiché questi limitavano l’espressione tradizionale della danza, e favorirono l’adozione di valori ed estetica non-egiziana, “orientalista”. Taheyya, ad esempio, adattò il suo mestiere per entrare nel media del cinema, e danzò lo stile nei pochissimi secondi che le venivano dati in una scena, presentandosi con l’imperativo di sorridere graziosamente alla macchina da presa, mentre i suoi costumi erano spesso influenzati dall’orientalismo Hollywoodiano, e il suo stile finì senza pietà in sala taglio. Suhair, allo stesso modo, compromise lo stile per adeguarsi al nuovo show di varietà del locale notturno, ed era obbligata a conformarsi sempre più all’immagine occidentale della danzatrice orientale per mantenere una carriera di successo nei locali notturni.

La cultura dei nighclub di oggi in Egitto può essere vista come un prodotto dell’orientalismo occidentale rivenduto all’Oriente. Nel secolo XIX parecchi aspetti delle culture orientali venivano esportati per l’Occidente in varie fiere commerciali, o esibizioni internazionali, a Parigi, Londra e negli Stati Uniti. Nel 1893 il pubblico americano fu testimone di una troupe di danza egiziana all’Esposizione internazionale di Chicago e questi spettacoli stimolarono un grande numero di parodie burleche dei movimenti di fianchi e torso del Raqs Sharqi, creando l’Hootchy-koothchy (Van Neuwkerk 1995). Questa invenzione delle danzatici occidentali potrebbe essere descritta come la vera nascita della danza del ventre, o danza orientale (Hilal 1999). Il primo nightclub in Egitto fu fondato da una donna siriana, Badia Masabni, nel 1926, la quale creò uno stile “orientale” pesantemente influenzato dalla visione che Hollywood aveva del misterioso oriente. Badia impiegò un gran numero di danzatrici fini e con basi tradizionali come Taheyya Carioca e le educò ad adeguarsi a questo nuovo look orientale. I nightclub egiziani di oggi impiegano più che altro danzatrici occidentali che si esibiscono in una fantasia orientale erotica per i turisti maschi che visitano l’Egitto, ed il loro vocabolario di movimento contiene una parodia esagerata degli originari movimenti egiziani. Per essere competitivi sul mercato, i danzatori egiziani devono anche adottare il genere da cabaret ed i loro movimenti stanno diventando sempre meno identificabili come egiziani. La forma e l’estetica del Raqs Sharqi è stata in tal modo seriamente erosa dalle influenze occidentalizzate

Negli anni ’80 emerse un’artista della danza egiziana che percepì la reale minaccia all’esistenza dell’autentica danza egiziana. Suraya Hilal, nata al Cairo, sentì che la danza del ventre o danza orientale spesso etichettata come egiziana in Occidente non rappresentava né rendeva il giusto rispetto alla sua eredità culturale della danza- la danza che lei aveva imparato nella sua famiglia e comunità. Suraya esaminò la sua comprensione familiare e culturale della danza, ricercando le tradizioni sopravvissute dell’Alto Egitto e la cultura della musica e della danza Baladi della Mohammed Ali street del Cairo (la zona degli artisti), prendendo in esame il legame fra le danzatrici dei film degli anni dal ’30 al ’50 che conservavano elementi dello stile, e successivamente utilizzando queste fonti come ispirazione e guida.

Più tardi Suraya si stabilì a Londra ed entrò nell’Arts Council, trovando ciò che le permise di lavorare con musicisti egiziani e sviluppare la sua arte. Suraya possedeva una forte visione artistica, una chiarezza tecnica, ed un ispirato radicamento nello stile dell’estetica culturale egiziana, tutte cose che le permisero di restaurare e sviluppare la danza egiziana in una forma attuale, potente e completa che pienamente rispecchia la forza, la sofisticatezza e la profondità emozionale della musica egiziana. Suraya introdusse il termine Raqs Sharqi in Occidente all’inizio degli anni ’80 per identificare il suo lavoro come autentica espressione della cultura egiziana, ed anche per differenziarlo dalle forme occidentalizzate, e, come il nome stesso suggerisce, lavorò principalmente come artista solista. La potente presenza sul palco di Suraya e il suo alto livello di performance in scena le hanno fatto guadagnare il rispetto e l’amore del pubblico in tutta l’Europa, e lei ha creato una conoscenza del Raqs Sharqi come una bella forma di danza e fine arte teatrale che si può collocare a fianco di altre grandi forme di danza del mondo. Il suo lavoro parla universalmente ai popoli e alle culture.

All’alba del nuovo millennio, l’aspetto contemporaneo della danza egiziana è incarnato dl lavoro di Suraya Hilal. Ogni forma di danza è di tanto in tanto rinvigorita e spinta in avanti da speciali geni, come Martha Graham per la danza contemporanea, così Suraya Hilal per la danza egiziana. Suraya Hilal ha chiarificato e creato una danza che fino a quel momento era esistita come tradizione informale tramandata di generazione in generazione.

Mentre cominciava al sua carriera come danzatrice Raqs Sharqi, sviluppava e distingueva anche altri stili nel contenitore della danza egiziana, il Raqs Sha’abi ed il Raqs Baladi, ambedue i quali possono essere parte del repertorio del danzatore Raqs Sharqi, o possono venire danzati di per sé. Ha sviluppato il lavoro da una danza solistica a spettacolo di gruppo, e per danzatori uomini, e così ha esteso il suo lavoro oltre il Raqs Sharqi, verso una immagine più larga della danza egiziana. La danza maschile era sempre esistita nello stile Baladi e nello Sha’ab, in cui gli uomini danzavano socialmente e professionalmente in gruppi Sha’abi nei festivals e nelle celebrazioni. Suraya ha chiarito la tecnica di danza, raffinato la forma estetica e sviluppato un sistema di educazione per danzatori ed insegnanti che riflette la natura olistica della danza. In definitiva, ha nutrito uno sviluppo organico della danza egiziana che è radicato fortemente nelle origini tradizionali della cultura e presenta una raffinata, completa e attuale rappresentazione della musica e della cultura della danza egiziana al mondo di oggi. Il lavoro di Suraya, come quello di Martha Graham che creò la tecnica Graham, ha un così inconfondibile carattere, sia nella forma che nella tecnica, che la danza che lei presenta in pubblico e tramanda ai suoi allievi viene ora chiamata Hilal Dance.

Suraya Hilal ed il suo team hanno stabilito la Hilal Art Foundation nel 2000 per creare una forte piattaforma di base con cui proteggere, sviluppare e insegnare la Hilal Dance ed incoraggiare la fine ed autentica musica egiziana. Per coloro che giungono ad imparare la danza dagli insgnanti autorizzati dalla Hilal Art Foundation, è importante capire che la Hilal Dance è radicata nelle culture tradizionali della danza dell’Egitto più che in idee orientaliste occidentali. E’ inoltre utile capire che la danza Hilal non è identica al Raqs Sharqi che si vede nei film della metà del secolo XX. Suraya, in una maniera unica, ha restaurato e sviluppato la danza per riflettere sia la cultura tradizionale che quella moderna dell’Egitto. L’allievo Hilal Dance, sia maschio che femmina, ora, per la prima volta, ha l’opportunità di studiare danza egiziana contemporanea.

Di Sarah Hamilton

The post Danza egiziana nel secolo XXI first appeared on Danza e Musica Araba.]]>