Gli zingari egiziani | Danza e Musica Araba https://danzaemusicaaraba.com L'universo artistico del Medio Oriente Sat, 24 Aug 2019 18:12:58 +0000 it-IT hourly 1 Gawazi sull’orlo dell’estinzione https://danzaemusicaaraba.com/gawazi-sullorlo-dellestinzione/ Thu, 29 Mar 2018 15:22:54 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=222 Gawazi sull’orlo dell’estinzione Di Edwina Nearing Da Newsletter della Hilal School of Raqs Sharqi . Quarto numero, Gennaio, Febbraio, Marzo 1995; quinto numero, Aprile, Maggio, Giugno1995; sesto (ed ultimo) numero Luglio, Agosto, Settembre 1995...

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Gawazi sull’orlo dell’estinzione

Di Edwina Nearing

Da Newsletter della Hilal School of Raqs Sharqi .

Quarto numero, Gennaio, Febbraio, Marzo 1995; quinto numero, Aprile, Maggio, Giugno1995; sesto (ed ultimo) numero Luglio, Agosto, Settembre 1995

le Ghawazee si stanno estinguendo

Le ultime Ghawazee

(La giornalista ed orientalista Edwina Nearing si è laureata sul Medio Oriente all’Università della California a Berkeley e all’Università americana di Beirut, è vissuta ed ha viaggiato in varie zone del Medio Oriente, fin dal 1968. ll suo più importante contributo all’ancor troppo dormiente corpo della conoscenza sulle danze del Medio Oriente è “The mystery of the Ghawazi”, una serie di articoli sulla tradizionale casta delle Ghawazi, donne-artiste. ll cuore della serie sono i dati raccolti sul luogo dalla Nearing nel 1976 grazie ad interviste e spettacoli con membri della grande famiglia Mazin di Luxor, in Egitto, rinomate praticanti  dell’arte Ghawazi. Questo articolo fu scritto dopo che la Nearing trascorse alcuni giomi, nel gennaio 1993 con Khairiyya Mazin, la più giovane della famiglia, a Luxor. Questa visita costituisce la fonte del seguente reportage.)

Far ricerche sulle arti tradizionali del Medio Oriente è un po’ come fare archeologia di salvataggio- uno corre davanti ai bulldozer per salvare ciò che di culturale rimane prima che tutto venga gettato nell’oblìo. Le pressioni economiche e la corsa agli ostacoli attraverso l’occidentalizzazione hanno indotto il popolo del Medio Oriente, come la maggior parte del mondo, a girare le spalle alle sue ricche e culturalmente diverse eredità, ed a costruirsi da sé, letteralmente e metaforicamente, vergognose scatole di cemento per ospitare il corpo e lo spirito. In questo processo, molti dei curiosi e particolari mestieri, arti, costumi ed ambienti si sono già persi. I ricercatori fanno le acrobazie per registrare quanto ancora sopravvive, sia tramite la cosa in sé che attraverso varie ricerche, con la speranza di un futuro in cui, si auspica, il patrimonio tradizionale sia valutato più di quanto non lo sia al presente. La danza del Medio Oriente, questa curiosa e particolarissima forma d’arte, sopravvive ancora nella sua terra d’origine, forse perché è un’arte “sociale”, ed i mediorientali in generale sono un popolo molto socievole. La danza nel Medio Oriente celebra la guerra e la pace, la nascita e tutti gli altri momenti di passaggio della vita; afferma la solidarietà della famiglia, della tribù, della gente; persino rende in termini pratici l’unicità di Dio, o il Tutto, nelle cerimonie musulmane del Dhikr e della Hadra. La linea di demarcazione fra il pubblico e gli artisti spesso scompare; i danzatori, i musicisti ed il pubblico sono intercambiabili quando il richiamo del sangue infrange le barriere sociali. Nel Medio Oriente dei tempi antichi, e fra gli arabi preislamici, il sangue era la vita, ed il sangue ha un suo ritmo, ed il qawm- “la gente”, la tribù araba- danza la dahiyya al ritmo del sangue.

Ma è incerto se la danza Medio Orientale possa continuare a sopravvivere in tutte le sue diverse forme tradizionali. La tribù, l’essere arabi, turchi o berberi, sembra essere sulla via di scomparire anche se pare prematuro consegnare questo alla storia come qualcosa di finito, poiché il sangue del qawm scorre profondamente. Le stesse forze che hanno indebolito la tribù hanno colpito la danza nel Medio Oriente: occidentalizzazione e la pressione economica hanno largamente distrutto molte sue forme, molti suoi esponenti e molti luoghi d’incontro. Dove sono, per esempio, le famose Ouled Nail che frequentarono i pittori  Dinet e intrattennero la Legione Straniera nel ristretto Quartiere d’Algeria, soltanto 40 anni fa? Dov’è l’abbagliante danza siriana “Sayf wa turs”, i suoi frastuoni di spada escudo che si mescolano con le urla acute del pubblico femminile? Ancora, il flusso del sangue scorre profondo, i beduini non hanno interamente rinunziato alla loro dahiyya, né la tenace forza contadina dell’Egitto ha cessato di dar lavoro a quelle donne dall’origine misteriosa, le Ghawazi, perché cantino e danzino nei loro festival.

Cosi ci inoltriamo fino a Luxor per vedere le Ghawazi, e prendiamo per certo il costante, ma lento, declino di ciò che resta delle arti tradizionali della regione. Ma ora un vecchio nemico, l’intolleranza religiosa, ha dato la mano a nuove forze schierate contro la danza, minacciando di convertire il lento declino in una fatale emorragia. Più di una volta, in passato, un relativamente piccolo ma aggressivo gruppo di estremisti sostenitori dell’lslam, la religione dominante nel Medio Oriente, hanno fatto in modo che la danza, ed a volte addirittura la musica, venissero proibite, ed i loro esponenti cacciati. D’allora in avanti, il ritmo del sangue si è sempre dimostrato più forte del breve rigurgito di fanatismo e repressione. Ora, comunque, l’intolleranza religiosa ha nuovi e forti alleati: la recessione mondiale, il taglio del supporto finanziario alle arti, l’inflazione, la crescita del prezzo d’entrata nei locali che programmano danza professionale, al di là delle possibilità della maggior parte dei portafogli, l’infatuazione per il potente occidente, che rifiuta come imbarazzanti le cose orientali, nella speranza di ottenere in qualche modo una fetta di potere, l’impulso della tecnologia, che ha reso facile e meno dispendioso guardare una videocassetta a casa che vestirsi e comprare un biglietto di un costoso spettacolo di danza, persino la sovrappopolazione ha colpito pesantemente, con una improduttiva e crescente maggioranza della popolazione al di sotto dei 20 anni, la maggior parte della quale è costituita dagli impoveriti bambini delle brulicanti città, cresciuti con “Dallas” e tagliati fuori dalla loro eredità culturale.

La danza non può essere posta sotto legislazione o esclusa dall’umanità, ma, come abbiamo visto, forme specifiche di danza possono morire, insieme con tutte le loro tradizioni associate e le cose a loro collegate. Negli ultimi due anni circa- almeno dalla metà del 1991, se non prima- le Ghawazi sono state al centro dell’attenzione delle forze ostili alla danza che convergono nel Medio Oriente. Le Ghawazi sono le famose artiste tradizionali, in gran parte con educazione ereditaria, dell’ Egitto, e la danza Ghawazi, che è menzionata dalla letteratura di diversi secoli, è la sola importantissima fonte originaria della danza professionale egiziana (El Raqs El Sharqi). Un secolo e mezzo fa, la maggior parte delle danzatrici professioniste in Egitto sia in città che nelle campagne venivano chiamate “Ghawazi”; ora il termine Ghawazi è usato in Egitto per indicare le danzatrici di campagna che ancora si esibiscono alla maniera tradizionale, e che non hanno aggiunto nulla al loro repertorio che provenga dal balletto, dalla danza latino-americana, o dalla danza moderna,come hanno fatto le danzatrici Orientali dei nightclub delle città.

ghawazeeche ballano

le ghawazee nelle danze

Le Ghawazi, inoltre, si distinguono per il fatto di avere origine non-egiziana e non-araba,quanto meno nella maggior parte dei casi; l’orientalista dell’inizio del XIX secolo Edward Lane, nel suo libro “Un racconto degli usi e dei costumi del moderno egiziano” le chiama “una razza a parte” e dice che “spesso fanno uso di alcune parole che appartengono solo a loro”. La mia personale ricerca sugli Awlad Mazin di Luxor, una famiglia che per molti anni ha fomito le migliori Ghawazi dell’Egitto, conferma i miei precedenti sospetti che le Ghawazi comprendano alla fine alcuni gruppi etnici di provenienza incerta; i Mazin comprendono i Nawar, i Bahlawan, i Ghajjar, gli Halab, ed i Shahaina. Ogni gruppo ha apparentemente un suo linguaggio: i Mazin che vengono da Nawar affermano che la loro lingua è totalmente non correlata a nessuna altra parlata da altri gruppi. ll piccolo vocabolario Nawari che ho messo insieme mostra qualche somiglianza con l’Hindi, suggerendo che i Nawari potrebbero essere originari dell’lndia o di una zona vicina, e probabilmente del nord dell’lndia o di una zona vicina, se altre evidenze di circostanze che ho scoperto sono valide. Le Ghawazi sono ancora richieste nei villaggi perché facciano spettacoli per le stesse funzioni per cui, secondo Lane, venivano chiamate più di 150 anni fa: appuntamenti di festa, celebrazioni di matrimoni e circoncisioni. E’ ritenuto un onore che una famiglia provveda ad una festa con le Ghawazi per la gente del paese, come segno di buon auspicio; nell’Alto Egitto, da 2 a 5 Ghawazi sono assunte per dare spettacolo, in teoria per tutta la notte, su di un alto palco di legno, costruito all’aperto apposta per quella occasione. Le Ghawazi della regione di Luxor, soprattutto le Mazin, portano avanti anche un’altra tradizione registrata da molti viaggiatori del secolo XIX, quella di fare spettacolo sulle navi del Nilo per feste private, organizzate per i turisti che visitano gli antichi monumenti faraonici che abbondano nell’Alto Egitto. Ciò ha luogo soprattutto nella “stagione fredda”, da Novembre ad Aprile, quando il tempo è più piacevole per gli stranieri; la restante parte dell’anno, la “stagione calda” è preferita dagli egiziani per le feste all’aperto, nelle quali danno spettacolo le Mazin o altre Ghawazi. Ma ora, nel Gennaio 1993, non vi sono Ghawazi che si esibiscano a Luxor.

La situazione economica, le videocassette, e la “sindrome di Dallas” hanno chiesto di recente il loro “pedaggio” alla popolarità delle Ghawazi, ma quando ho incontrato Khairiyya Mazin, all’inizio dello scorso anno,-lei e sua sorella Raja si esibirono almeno 5 volte durante la settimana che trascorsi a Luxor, ed è chiaro che non hanno certo perso ora alcuna delle loro abilità. Una delle loro performance per un gruppo di turisti finlandesi di mezza età, che parevano aver bevuto troppa birra, fu appena appena decente, ma per un altro minuscolo gruppo di americani entusiasti della danza, fu superba. I loro movimenti nella danza, accompagnati dal suono lamentoso delle rababa, aveva il languore ipnotico ed assorto di un’odalisca in un buon quadro di un pittore orientalista, fermando il tempo. ll loro lavoro sul ritmo veloce era pieno di una tale energia che le danzatrici sembravano vibrare, e giocavano fra loro- prendendo inconsciamente i segnali l’una dei movimenti dell’altra .mentre improvvisavano, e si intrecciavano in modo armonioso- cosi che a momenti sembrava ci fosse fra di loro una corrente elettrica, una meravigliosa tensione che intrappolava lo spettatore.

Avevo progettato di lavorare con Khairiyya e Raja nella “stagione calda” che si stava avvicinando, come già in passato avevo fatto; la loro sorella si era ritirata, lasciando che solo le due più giovani continuassero, e gli abitanti dei villaggi preferiscono scritturare un gruppo di 3 o 4 Ghawazi per una celebrazione più grande ed uno spettacolo più vivace. Di eguale importanza per Khairiyya e Raja era il tempo di riposo che una terza danzatrice avrebbe potuto offrir loro- le performance nei villaggi durano in media dalle 5 alle 7 ore, senza pause, così, quante più sono le danzatrici, tanto meno il lavoro pesa su ognuna. Ma Khairiyya ha cattive notizie. Le autorità di Qena, la capitale della provincia, hanno posto fuori legge le performance pubbliche di danza nei paesi dove erano più popolari. Benché al momento io non abbia capito bene, sospetto che queste esibizioni siano state bandite per tutta la provincia, o almeno lo siano ora, anche se in qualche caso possono essere state permesse a discrezione delle autorità locali dei vari distretti per rinforzare il bando, poiché la provincia di Qena è molto estesa. Questa fu per me una notizia straziante, non tanto per quanto potesse danneggiare il mio progetto a breve termine, ma per il significato che aveva per la sopravvivenza delle Ghawazi e della loro arte. Lungo il corso degli anni, ho visto villaggio dopo villaggio chiudere le porte alle Farahat, le grandi celebrazioni pubbliche di matrimonio e di altre occasioni di gioia, delle quali le Ghawazi erano l’attrazione centrale, e che, come le fiere, attiravano visitatori dalle zone limitrofe. Certo, fu la grande popolarità delle Farhat che le predestinò, poiché nell’eccitazione nottuma della folla, con la birra spesso liberamente disponibile e le armi da fuoco, scadevano nei tradizionali arabi “spari di gioia”, e a volte ne scaturivano risse. Non di rado accadeva che uno straniero, per vendetta contro un individuo o una famiglia del villaggio ospite, approfittasse della Farah per portare a termine un assassinio di faida. Ed era così che le fazioni dominanti in alcuni villaggi hanno posto termine alle grandi danze delle Farahat, e non fu innaturale per me dedurre che l’autorità centrale, in nome della legge e dell’ordine, abbia deciso di vietarle del tutto. “Ma ci vorrebbero ben più di un gruppo di poliziotti per trattenere il Sa’aida- l’ingovernabile popolo dell’Alto Egitto- lontano dai loro amati tempi antichi”, cercai di rassicurarmi, spiacevolmente consapevole che il tempo stesso giocasse contro le Ghawazi, poiché con la crescente occidentalizzazione le tradizionali Farahat hanno ormai perso popolarità.

“E perché hanno vietato le Farahat?”, ho chiesto a Khairiyya, sperando per metà in un’eccitante storia di qualche vendetta che avesse preso il via fuori dal controllo. “Almunathamat al islamiyya”, rispose Khairiyya, “I gruppi fondamentalisti islamici. Vogliono proibire la danza e fermare il turismo”. Per tutti i mediorientali, il termine Munathamati slamiyya ha preso ad indicare il maggiore elemento destabilizzante nella società mediorientale, per buono o malato che venga considerato a seconda del loro punto di vista.

tre danzatricighawazee

le danzatrici ghawazee

Una certa quantità di Sa’aida continuarono a tenere pubbliche Farahat, a dispetto delle munathamat e delle nuove leggi, specialmente nell’estremo nord, nella regione di Al-Balyana, ma nel 1991 la stagione fu disastrosa per le Ghawazi. Le Banat (ragazze) Mazin praticamente non sono state scritturate. “Ta’ishi zayy’?” ho chiesto a Khairiyya, “Quanto potrete sopravvivere ora? Quando finirete di costruire la vostra casa?”. La casa era l’equivalente di un appartamento occidentale di una stanza stretta; dopo che suo padre Yusuf mori a metà degli anni 1980, la casa della famiglia Mazin fu venduta, e Khairiyya dovette arrangiarsi da sé, tutte le sue sorelle si sposarono in quel periodo. Lei affittò un modesto appartamento, fece i salti mortali e fece sacrifici, ed infine fu in grado di comprarsi una sottile striscia di terra alla periferia della città. Sperò di costruirsi un secondo piano per la sua “casa”e di risiedervi per poter dare in affitto il primo piano; l’affitto avrebbe dovuto essere una sorta di “pensione sociale” o assicurazione quando sarebbe diventata troppo vecchia per danzare.Khairiyya mi assicuro che, benché non potesse più lavorare nelle grandi feste di Farahat, leopportunità di lavoro nella città di Luxor stessa erano drasticamente aumentate. Agenzie di viaggi, organizzazioni di hotel e ristoranti si erano finalmente svegliate di fronte al fatto che orde di turisti, che discendevano a Luxor durante l’inverno per vedere le tombe ed i templi dei faraoni, avrebbero desiderato qualcosa per occupare il loro tempo anche durante la serata, e che grazie a questo si sarebbe potuto guadagnare. Gli spettacoli folkloristici che per anni erano stati presentati al Winter Palace, il più vecchio hotel di Luxor, avevano attratto folle di spettatori, e gli altri alberghi l’avevano lentamente seguito. Forse, gli occasionali gruppi di fanatici della danza Medio Orientale che erano venuti a Luxor durante l’ultima decina d’anni circa, organizzando anche la loro festa privata con la Ghawazi, diedero al fatto una spinta. Ora sembrava che chiunque, col turismo, cominciasse a dare spettacolo, e c’era sufficiente lavoro a Luxor per tenere le Ghawazi occupate a tempo pieno, almeno in inverno sarebbero comunque state portate lì danzatrici dal Cairo. Così potei vedere diverse performance delle Banat Mazin durante la mia breve permanenza a Luxor nel 1992, ed ebbi ragione di sperare che le Ghawazi potessero sopravvivere per un lungo periodo.

A qualche minuto di distanza dal mio arrivo a casa di Khairiyya nel gennaio del 1993, appresi che la mia speranza aveva fondamenta malate. “Chiunque sta dimenticando il karama- l’onore, l’alto prestigio- delle Banat Mazin”, si lamentò. “Nessuno rispetta più l’arte.

La città pullula di danzatrici del ventre portate dal Cairo e Al Minya; nessuno ci vuole”. Non aveva lavoro, così lasciò scadere le sue licenze, le carte senza le quali ad una danzatrice non è permesso lavorare in Egitto, e che devono essere rinnovate ogni anno: la costosa licenza di 200 lire egiziane del Ministrero del Turismo, la licenza dell’Adab- essenzialmente la “buoncostume”- e tutte le altre di cui la burocrazia egiziana carica gli artisti teatrali. La sua sorella e partner Raja si era sposata con un gentleman dai modi buoni della città. Khairiyya stava disperatamente tentando di terminare la sua casa, per poter lasciare la zona al piano inferiore; più tardi scoprii che non aveva soldi per finire il lavoro e che aveva già ricevuto e speso una ipoteca sull’appartamento al piano terra, che avrebbe dovuto liberare quando il nuovo proprietario ne avesse preso possesso 2 o 3 mesi più tardi. L’appartamento superiore, nel quale si supponeva che Khairiyya dovesse andare ad abitare, era ancora mezzo da completare con la malta e pieno di macerie. Quella sera e le seguenti ci rannicchiammo intorno ad un vaso di argilla con carboni ardenti nella stanza più piccola della casa, avvolte in strati di vestiti e coperte, ed io ascoltai ancora. Khairiyya si scusò per il braciere- aveva dovuto vendere la sua stufetta elettrica; così la televisione ed il frigo, notai, se ne erano andati. Aveva tentato di lavorare l’estate precedente alle Farahat che qualche Sa’aida nella distante area di Al Balyana ancora organizzava, di nascosto, nonostante il divieto della legge e le Munathamat. Le Ghawazi in quella zona, disse, erano più del Bahlawan che della sua gente, la Nawar- si riferì a loro con il termine Nawari “Sharishtiyya”, “ladruncole”.Il commento “Sharishtiyya” fu spiegato: le sue “colleghe” fra le Bahlawan, come Khairiyya le definì amaramente, le avevano rubato la maggior parte dei suoi costumi, parrucche ed ogni altra cosa di valore. Ma i suoi giorni fra le Ghawazi di Al Balyana erano comunque contati, poiché dopo alcuni spettacoli la polizia fece un raid in una Farah, e portò lei e le sue colleghe alla prigione, dove trascorsero la notte con i loro costumi, congelando. Un ufficiale disse a Khairiyya che se l’avesse presa di nuovo l’avrebbe uccisa. Poi fu formalmente schedata “come se fossi stata una grande criminale, un nemico pubblico, e non un’artista”. Visto che l’esperienza di Al Balyana non aveva augurato niente di buono per il suo futuro nella zona, riluttante, decise di lasciar perdere le Farahat là. Chiesi a Khairiyya se le Ghawazi di Al Balyana stessero ancora lavorando. Fino a quando ne aveva avuto notizia, sì: “La polizia dà loro la caccia e le imprigiona un giorno e loro semplicemente appaiono in un altro posto il giorno dopo”. E la gente di Hamadat, Qenawiyya, e gli altri paesi vicini a Qena dove le Ghawazi Mazin erano state popolari, ancora venivano assunte per le Farahat? Sì, un po’, e quando domandai ad alta voce se i paesani non avessero paura delle autorità, Khairiyya disse che tenevano una stretta sorveglianza per avvistare la polizia, e, appena la vedevano, “acchiappavano le danzatrici e le gettavano in mezzo ai campi coltivati”- i campi di canna da zucchero o qualunque cosa intorno al villaggio- per nasconderle. Questo, certo, era pericoloso; era troppo facile per una danzatrice, fuori, da sola, al buio, nei campi, essere molestata o persino assalita, specialmente nella confusione del raid. ln ogni caso, Khairiyya piangeva, la sua salute non era buona, e lei non poteva continuare molto con questo tipo di situazione. Sua sorella Su’ad più tardi mi raccontò che la polizia di Qena aveva specificamente ammonito Khairiyya di non lavorare nella zona, affermando che non la avrebbero potuta proteggere dagli irhabiyin, i terroristi religiosi. Così Khairiyya ha trascorso la lunga “stagione calda” con poco lavoro ed ancor meno introiti, sperando che la stagione turistica invernale fosse migliore. Ma l’inverno trovò Luxor inondata di danzatrici Orientali provenienti dal Cairo, danzatrici che affermava fossero “sahilin”, “facili”, disposte a scambiare favori sessuali per lavoro o per regalo, ed a fare spettacoli in ogni luogo d’incontro ed in ogni circostanza. Su’ad disse che alcune di queste danzatrici tentarono di farsi passare per danzatrici artistiche folkloristiche indossando in pubblico costumi folk, ma lei non si faceva convincere, per nulla, poiché rovinavano l’effetto con “trucco ed acconciature di stile straniero”. Pensò che fossero venute dal Cairo per paura degli irhabiyin: io pensai che più facilmente stavano soltanto cercando più lavoro, ed avevano udito che a Luxor c’era richiesta di danzatrici. Qualunque fosse la ragione, la loro quantità e facilità di reperimento avevano fuorviato le vere artiste folkloristiche; i musici stilocali, persino, si erano rivoltati contro le sorelle Mazin, disse Khairiyya, preferendo le più accondiscendenti danzatrici del Cairo. Ed il favore dei musicisti era importante per ottenere lavoro a Luxor, poiché molti impresari cittadini, spesso privi di esperienza nel settore organizzativo degli intrattenimenti, o provenienti da fuori regione, lasciavano ai musicisti il compito di consigliare o procurare le danzatrici, diversamente dalla gente del Sa’aid dicampagna, che conosceva e contattava direttamente le danzatrici. Khairiyya era l’ultimaGhawazi nell’area di Luxor; le sue vecchie compagne si erano sposate e si erano ritirate. E lei, esperta esponente di un’antica arte, lei, ancora giovane, le cui braccia e collo erano una volta rivestite d’oro, non poteva più mantenersi. Disperata, stava prendendo inconsiderazione un matrimonio combinato, ma, come disse, “Come potrei sapere se l’uomo sia buono? Piuttosto preferisco lavorare per mille anni che vivere un giomo con un uomo che odio”. E neppure voleva davvero “stare seduta in casa tutto il tempo, diventare grassa e dimenticare come si danza”. Mi aveva detto l’anno prima che persino se fosse stata comodamente sposata non avrebbe desiderato smettere completamente di lavorare, sia per mantenere una posizione di forza per trattare con suo marito, sia perché la fama delle BanatMazin non perisse.

tre danzatrici ghawazee

un gruppo di danzatrici ghawazee

Cercai di pensare a qualcosa che le assicurasse un adeguato, sicuro stipendio per renderla in grado di restare nel campo che aveva scelto, qualcosa, inoltre, che potesse incoraggiare la stranezza dell’arte Ghawazi di voler sopravvivere ancora per un po’ nonostante tutte le forze che vi si stavano organizzando contro, come una infausta congiunzione planetaria.   Ed una risposta si presentò in fretta, suggerita da un recente incontro con una allieva-danzatrice svedese, in viaggio per Luxor, che mi aveva chiesto se conoscessi una Ghawazi, che fosse disponibile a darle lezioni di danza. Riferii l’idea a Khairiyya, che ne fu entusiasta. Stabilimmo una cifra di 60 lire egiziane per una lezione di un’ora e mezzo- circa 18 dollari,secondo quanto era richiesto da una danzatrice in una simile circostanza al Cairo, Nadia Hamdi. Questo non avrebbe risolto i problemi immediati di Khairiyya, ma, se avesse in qualche modo potuto continuare per qualche mese fino a che il mondo dell’ “Istituto Mazin per le arti folkloristiche” avesse successo nella comunità internazionale di danza, bene, l’idea era buona.

Se. Se avesse potuto continuare. Se le danzatrici di Al Balyana avessero potuto continuare, se la gente del Sa’aid avesse potuto continuare, se gli amanti dell’arte e della libertà- le due cose sembrano in qualche modo aggemellate nel Medio Oriente- avessero potuto continuare. Non si deve pensare che quella di Khairiyya Mazin sia una storia isolata; dato l’attuale clima di inimicizia e di intolleranza religiosa, di incompetenza burocratica, di recessione e di occidentalizzazione, simili storie si potrebbero scoprire in tutto il Medio Oriente. Epoche recenti hanno visto la “danse orientale” messa fuori legge in paesi dalla Libia all’lran, ma la”danse orientale” è una forma eclettica, sempre in evoluzione, e la sua soppressione in unpaese, semplicemente tende a causarne la proliferazione in altri paesi ed ad accelerarne la continua mutazione. Ma se le Ghawazi saranno a lungo represse da questa situazione critica, probabilmente moriranno, e se moriranno, una delle ultime maggiori e particolari tradizioni coreutiche Medio Orientali moriranno con loro. L’arte delle Ghawazi è certo tenace, sopravvivendo alla fine del secolo XX, quando altre forme sono scomparse. Se loro, inoltre, scendessero nella strada dell’estinzione, potrebbero le altre tradizioni di danza del MedioOriente resistere ancora per molto? O credenti: “lnna Allah jhamilun wa yahubb al jamal” “ln verità Dio è bello ed ama ciò che èbello”.Per chi sia interessato a lezioni con le Ghawazi:Khairiyya abita a circa un miglio a nord della stazione dei treni di Luxor, vicino ai binari dellaferrovia. Mostrate l’indirizzo che segue a qualunque guidatore di pullman o taxi, ed il prezzo non costerà più di 5 l. e. (circa 1 dollaro e mezzo) da qualunque luogo in città; non prendete un pullman, anche se è facile trovarne un altro vicino alla casa di Khairiyya. Se avete un pezzo di musica preferito adatto alla danza Ghawazi, non esitate a prenderlo; se vi offrisse un tè, non esitate ad accettarlo.

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“Notizie sui Nawar e sugli altri gruppi zingari presenti in Egitto”

Terza Parte

di Giovanni Canova

Articolo contenuto nell’antologia “La bisaccia dello Sheikh” omaggio ad Alessandro Bausani, islamista, nel sessantesimo compleanno.

Quaderni del seminario di Iranistica, uralo-altaistica e caucasologia dell’Università degli Studi di Venezia, 1981

La festa. Ghawazee e Awalim

un gruppo di gitane

danze gitane

Nelle feste (farah, al plurale efrah, lett. gioia) di sotito c’é educazione (doq), anche se circola molto liquore e  hashish. Ma é pericoloso perché la gente spara in aria per l’eccitazione. Talvolta qualcuno ci rimette a pelle. Non é infrequente che le autorità proibiscano le feste incerte località, quando c’e stato un Tar, vendetta, per timore che la festa sia occasione di disordini.

Una volta le feste erano più modeste. Ci si faceva costruire da un falegname una cassa colorata, dove venivano messe dote e masserizie. Non c’era neanche il fornello (babur)! Il corteo (zaffah) era ravvivato da zammarin e raqqasin, ed iniziava nella casa della sposa per concludersi davanti a quella dello sposo. Ora invece viene usato un furgoncino ((tayutah,  “Toyota”) per portare i mobili, c’é la banda (mazika) e di sera c’é l’orchestra (ferqah) di  rababah o di mizmar. Una volta i contadini facevano le feste dopo il raccolto o pagavano con il loro prodotto, grano, mais, o davano un paio di lire egiziane, una ai musicisti o una alla ballerina. Adesso guadagnamo anche 100 lire egiziane per sera!  Il compenso é separato per i musicisti e le ragazze,  le offerte del pubblico sono però ripartite.

Le ballerine indossano un vestito con lustrini confezionato da loro stesse o dalle colleghe più anziane, che ormai non danzano più. Il costume tradizionale é quello che ancor oggi viene usato per la danza con il mizmar, é di origine “faraonica”.

L‘abito lungo usato per la danza con la rababah é invece nuovo. Qui in alto Egitto le ballerine si chiamano Ghawazee (sing.  Ghaziyah). Che differenza c’é con le Awalim (sing. almah)? Le awalem sono quelle della  città, della Mohammed Ali Street al Cairo. Non derivano da una famiglia di artisti. Ad  esempio, una ragazza fa l’amore con un tizio e si allontana della famiglia. Quello si prende  gioco di lei e la pianta, per vivere impara a cantare e a ballare e tira avanti in questo modo. Oppure ama un musicista, che la introduce nell’ambiente. Le Ghawazee invece sono  professioniste, nella loro famiglia ballano tutte. Da  noi non ci sono ballerini maschi sono solo nei grandi complessi, come la Ferqat Reda o la Ferqat Qawmiyyah.  La danza maschile era effettuata solo dagli arabi (= beduini). Si dispongono in una fila  (tabur) di 20-30 persone e danzano ritmando il tempo con il battito delle mani. Una ragazza velata, della loro stessa famiglia, balla dinanzi  a loro. Questo soprattutto più a sud, verso Edfu. Anche nelle nostre  feste talvolta ci sono ragazzi che ballano, ma sono solo degli  appassionati, non professionisti. C’é la raqset El Haggalah, fatta da uomini e donne della stessa tribù, gli arabi Sallum, disposti dieci da una parte e dieci dall altra.

la danza zingara

la danza gitana

Una volta i tatuatori venivano il giorno del mercato. Esponevano un pannello che costituiva il loro “catalogo” dei tatuaggi, per far scegliere al cliente. Gli uomini si facevano tatuare spade,  cavalieri, leoni ai polsi, upupe a fianco degli occhi…Le donne invece si facevano tatuare il mento, i polsi, il petto, nel mezzo, partendo dall’ombelico: una palma in senso verticale e ai lati, sopra il seno, due leoni.

In passato non c’era molto lavoro, cercavamo di guadagnare qualcosa nei Mulid (anniversari dei santi). In tale occasioni c’erano feste, danze, poeti, caffè, tutti i divertimenti. Andavamo anche ai Mulid dei cristiani, ai Mulid di San Giorgio  a Er Reziqat, presso Armant, il piu  grande del mondo. II governo ne ricava entrate per 100 mila lire egiziane. La gente sgozza pecore  in sacrificio: il vescovo ne prende un quarto, il convento e le guardie un quarto, e la  metà va al Wafq, al governo. Si lavora anche quando qualcuno parte e ritorna dal pellegrinaggio. Anche i cristiani ci chiamano per le loro feste di circoncisione o di nozze. Non c’è differenza. I cristiani e noi (=musulmani) siamo fratelli, gli ebrei sono figli di nostro zio. Il nostro comune progenitore è Ibrahim El Khalil (Abramo)”. Adesso però per il Hajj (pellegrinaggio), non ci sono più danze, ma di solito viene chiamato uno sheikh che organizza una Hadrah (o Dhikr). La banda, il mizmar o la rababah accompagnano poi il pellegrino e il corteo alla stazione”.

I musicisti e il canto epico

“Gli zammarin non sono della nostra gente, ma originari del posto; sono diventati musicisti di professione, ma il loro  padre poteva essere un fellah. Ci sono zammarin a Qoft e a Jarajos, e più a nord a Banja e Bardis. Alcuni sono andati al Cairo, come la fami- glia Al Hindi. Gli stili sono diversi, ma i migliori musicisti sono gli zammarin dell’ Alto Egitto.

Anche  i migliori suonatori di rababa sono dell’Alto Egitto. Una volta erano tutti mendicanti (shahhatin): passavano di porta in porta, si facevano dire i nomi o  altre informazioni e ci improvvisavano sopra delle lodi e dei complimenti, accompagnandosi con la rababa. In cambio ricevevano un po’ di cibo. Il musicista era solo, non in gruppo come adesso, e si spostava con un asino.

Anche i poeti che cantavano le gesta di Abu Zeyd Al Hilali giravano per i villaggi e le case di campagna. Radunavano la gente suonando per il paese con la rababa e poi organizzavano un’assemblea (rnajlis) in uno spiazzo, tutti seduti per terra. Lo sha’er (il poeta) iniziava la sua esibizione con una lode (madih) al Profeta, e cantava quindi un episodio del ciclo epico(sirah) dei Bani Hilal. I presenti offrivano qualche soldo, ponendolo in una ciotola messa davanti al musicista. Talvolta erano in due: il poeta con la rababa, accompagnato da un altro col tamburello. C‘erano poeti famosi come Hamdan, di giorno pescatore e di notte poeta. Si  esibiva qui a Luqsor durante il Mulid di Abu I-Hajjai. Ma i tempi sono cambiati: la gente adesso vuole canzonette, danze, cose insulse. Ci sono poeti con le rebabe o senza. Suonano nei caffé, nelle feste di matrimonio o di circoncisione, nei Mulid. Il ciclo epico piu famoso e più amato qui in Alto Egitto è quello di Abu Zeyd Al Hilali. Altre storie come quella di Anter ibn Shaddad o di Dhat El Himmah non sono She’r (poesie) ma racconti (Rivvayat)  tratti dai libri. Come le Mille e una notte, tutte storie da libri. Ci sono poeti fellah e poeti professionisti (=zingari). Jeber Abu Huseyn è il più grande poeta dell’Egitto. E’ di origine contadina, di un paese presso Sohaj. Un   poeta deve avere una bella voce, conoscere bene le poesie, eseguire con bravura il canto. Deve insomma saper eseguire le poesie nell‘ordine giusto (Nizam) con una buona tecnica (Ada’). Deve saper rnontare le parole (yerakkeb) e   fare una conclusione, in modo tale che l’ascoltatore sia invogliato a tornare la sera  successiva per vedere come va a finire.

Se uno come Jaber puo sposare una Nawarah? Se la nostra ragazza sposa un fellah non balla più: la fa restare in casa. Ma se sposa un artista può continuare a ballare. Jaber non è  un Fannan (artista di professione per tradizione famigliare) ma un  Ghewi (amatore). Si é messo in questo mestiere anche perché ha sposato una Maslubah e ha imparato la poesia.

Tra i Mataqil, i compianti Tawfiq e Qenawi, e i loro figli Shamandi e Mohammed sono stati bravi poeti. Anche tra i Masalib ci sono poeti, come Seyyed Ed  Duwi e Nadi Othman. “Sanno”  le poesie perché è il loro mestiere.

Anche una volta il poeta si chiamave Sha’er, sha’er es- sirah el- hilaliyyah. Ci sono anche altri poeti (cioè poeti dialettali o in lingua classica), come ad esempio Abd Er-Rahman el-Abnudi, ma questi non sono “poeti della rababa” o di Abu Zeyd. Il poeta non puo fare quelloche vuole. E’ necessario che segue la tradizione: al principio deve cantare le lodi del Profeta (yemdah) e la menzione di Dio (yedhkar). Solo adesso può iniziare con Abu Zeyd. Anche nella conclusione deve riprender il Madih iniziale. Ogni tanto puo interrompersi, per riposare, bere il caffe  o il tè; quando riprende deve iniziare ancore con un Madih. Il poeta che”afferra” direttamente l’episodio non  è Sha’er. Invece chi canta solo lodi al Profeta è un Maddeh, non uno Sha’ er. Sha’er e quello che declama le gesta degli Arabi, vera poesia è solamente la Sirah dei Bani Hilal”.

La lingua dei Nawar

danza gitana

danza zingara

“La nostra lingua d’origine é la persiana, ma poi si è modificata nel contatto con i Nawar e  con le altre genti. Per dire “Ma fish ‘esh” (non c’é pane),`loro dicono “Maku nan” (in Iraq maku= non c’e; in Persiano nan=pane), mentre noi possiamo dire “Makuwa nan”. Questa è pure lingua persiana, lo stesso vale per i numeri: yaki, dow, sos. ln Egitto non capiscono  questi numeri, perché è la nostra lingua. In Iran però li capiscono. Impieghiamo questo rotani (gergo) nel nostro lavoro. Ma i giovani ormai vanno a scuola, non vogliono più imparare la nostra lingua. Vogliono apprendere le lingue europee, per avere in futuro un buon posto. E  chi impara questo non vuole piu saperne del passato , vuol solo prendere un  diploma e impiegarsi. Così la nostra lingua andrà persa con  la nuova generazione”…. In questo rotani possiamo parlare di ogni cosa, é una lingua completa. La lingua dei Bahlawan é invece diversa. Gli Halab non hanno una lingua, ma solo parole contraffatte, senza fondamento. Anche gli zammarin hanno qualche parola gergale; ad esempio l’ancia del loro strumento si    chiama qeshshaya (paglia), chiamano la donna con questo nome! Invece il dischetto metallico dove va fissata l’ancia si chiama mat’am (luogo in cui si mangia), e cosi chiamano l’ uomo! Nella nostra lingua non c‘ é un nome per i suonatori di rababa o di flauto, né per la tablah. Chiamiamo gli zarnmarin “rnoramiyat el-malgam” (quelli che usano la bocca). Naturalmente ci sono molte cose nuove, che non esistevano nel passato; per alcuni oggetti costruiamo un nome, come per la radio, rnozanger (quello che parla) o l’orologio, moramit fawit (che indossa la mano).  l nostri nomi sono arabi Yusef, Musa… sono nomi antichi. Se ci sono parole con la ‘ain? Ce ne sono, come ‘amush (zio) e ‘azb (ghinea, lira egiziana). Anche la qaf esiste, ad esempio qanes (che sta in piedi). Noi parliamo come la gente dell’Alto  Egitto, con la gal (la qaf viene prenunciata “g” in alcune zone), con la jim (suone j dolce invece di gim dura come nel resto dell‘Egitto). Al Cairo pronunciamo la gim perché una volta un despota uccideva tutti quelli che pronunciavano la jim! Era all’epoca dei Greci. Non so se la nostra lingua sia mai stata scritta, non credo. Forse con l’alfabeto arabo-persiano. Se cerchi là in Kurdistan forse troverai qualcosa.

Nella nostra lingua possiamo dire qualunque cosa. Ma talvolta, ad  esempio se viene qualcuno per accordarsi su una festa e mia figlia dice una parola su cui non sono d’accordo, mi limito a farle un segno, un colpo di tosse o altro. Lei capisce, ma gli altri no, e così non si insospettiscono sentendoci parlare una lingua che non conoscono. In ogni caso tra di noi  parliamo ormai quasi sempre arabo (= l’arabo dell’Alto Egitto)”.

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Gli zingari egiziani seconda parte https://danzaemusicaaraba.com/gli-zingari-egiziani-seconda-parte/ Thu, 29 Mar 2018 15:12:09 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=218   “Notizie sui Nawar e sugli altri gruppi zingari presenti in Egitto” Seconda parte Giovanni Canova Articolo contenuto nell’antologia “La bisaccia dello Sheikh” omaggio ad Alessandro Bausani, islamista, nel sessantesimo compleanno. Quaderni del seminario...

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“Notizie sui Nawar e sugli altri gruppi zingari presenti in Egitto”

Seconda parte

Giovanni Canova

Articolo contenuto nell’antologia “La bisaccia dello Sheikh” omaggio ad Alessandro Bausani, islamista, nel sessantesimo compleanno.

Quaderni del seminario di lranistica, uralo-altaistica e caucasologia dell’Università degli Studi di Venezia, 1981

Gli altri gruppi zingari. La leggenda di Az Zir Salem

danze nomadi

danze zingare

“ll matrimonio presso i Nawar dipende dalla Sharia’ah di appartenenza. Tra di noi la dote richiesta è limitata: quanto un Nawar prende in sposa la figlia dello zio o di un parente, non deve versare molti soldi. Ma se una ragazza Nawarah sposa uno che non è della famiglia, non balla più. Per questo al pretendente viene chiesta una dote elevata. I Nawar possono sposare Halab, Mataqil, Bahlawan…, avviene spesso. Questi ultimi sono di origine egiziana, vengono da un paese che si chiama Tilbanah. Sono arabi Bani Murrah e si sono dispersi in seguito ad una guerra avvenuta molto tempo fa. ll loro progenitore è Jassas. Suo nipote si chiamava Az zir Salem, ed aveva un fratello di nome Kuleyb, sposato con Jalilah figlia di Murrah. Questo Jassas uccise Kuleyb, il marito di sua sorella. Az zir Salem era un prode cavaliere, come Abu Zeyd el Hilaii o Antar lbn Shaddad. Era forte come Sansone, affrontava i leoni a mani nude. Quando seppe che Jassas aveva ucciso suo fratello, si mise a far strage tra i Bani Murrah, notte e giorno. Eresse palazzi con i loro teschi! Lo implorarono di smettere; rispose che lo avrebbe fatto solo quando suo fratello Kuleyb avesse detto “Basta”. Un morto che parla? Misero uno nella sua tomba. Az Zir Salem disse :”Kuleyb, ho ucciso migliaia di Bani Murrah, sei soddisfatto’?” E quelluomo rispose: “Basta, sono soddisfattol” Ma dal momento che aveva parlato, Az Zir Salem volle vedere suo fratello. Scese nella tomba e trovò quel tizio. lrato lo uccise, e cominciò di nuovo a fare scempio dei Bani Murrah. La gente della tribù invocò il suo perdono. Disse che chi voleva avere salva la vita lasciasse il paese. Erano i giomi dell’anarchia, non c’era govemo! Ogni tribù aveva il suo capo. I Bani Murrah potevano andarsene, ma a delle condizioni:

1 le loro case fossero “sul dorso degli asini”;

2 non accendessero il fuoco di notte;

3 le donne cavalcassero, ma gli uomini dovevano marciare a piedi dietro di loro;

4 non si fermassero nei luoghi abitati per più di tre giomi.

Questi furono gli ordini di Az Zir Salem, e quella gente accettò e si disperse. Sono i Bahlawan; lavorano con le scimmie e fanno i saltimbanchi, ballano sui trampoli. A Redesiyyah, presso Edfu, c’è un mausoleo dedicato a Az Zir Salem, come per un Wali, uno sheikh.

All’epoca dei sultani c’erano anche i Baramkah. Sono diversi da noi. Il barmteki, in origine, è come il ruffiano (a’rs). Entrano nelle case, invitano gli uomini a dormire con le loro donne. Bevono e restano con loro, e si fanno dare dei soldi. E’ per questa ragione che la parola Barmeki è diventata un insulto. Ora non ce ne sono più, sono cose del tempo dell’anarchia, quando l’uomo faceva quello che voleva, non temeva Dio.

I Salaltah invece sono Nawar. ll loro avo si chiamava Sallut; a un certo punto si sono divisi da noi e hanno preso il nome di Bani Sallut.

Gli Halab fanno i fabbri: forgiano forbici, coltelli, falcetti. Sono originari della Siria, da Aleppo, e sono qui in Egitto da molto tempo.

l Ghajar vivono più a nord, molti sono ladri.

I Mataqil invece sono originari del Sudan, una volta erano schiavi. ll loro avo si chiamava Merjan, ed ebbe per figlio Metqal, che a sua volta generò Qenawi e Tawfiq. Sono bravi suonatori di rababah, ma hanno imparato a suonare questo strumento solo qua in Egitto, meno di un secolo fa.

I Masalib sono diversi da noi. Maslub significa… Sai, il campo, può nascere qualcosa senza che tu l’abbia seminata? Cresce grano, ma col grano ci sono le erbacce, venute su da sole, maledette (sheytani). l Masalib sono cosi, non hanno né famiglia né arte (professione). Girano vendendo stoffe, commerciano in piccole cose, suonano.

Anche i Sayaydah sono Masalib. Vagano per i villaggi e per le campagne con un grande tamburo (tabl esh-sheikh) e una bandiera, suonano davanti alle case. Prendono il loro nomeda Sayyed Ahmed El Badawi, la cui tomba si trova a Tanta. Hanno una specie di licenza rilasciata dalla sua confraternita. Noi chiamiamo i Nawar Daman, gli Halab Hanjaran, i Masalib Daggawan”.

La musica e la danza

i gitani

gli zingari

“Ci sono tra noi musicisti di flauto (Ghab) e di rababah. I suonatori di oboe (Zammarin) sono invece di origine locale. ll flauto è lo strumento più antico. Una volta c’erano gruppi formati da due o tre flauti, di diverse dimensioni, rababah e arghul (Zummarah farsi). Dopo che ci insediammo nel paese, le ragazze nawarah divennero famose e cominciarono a ballare al suono del mizmar turki (oboe). Questo strumento è di origine turca. L’arghul invece è egiziano, e si chiama farsi solo perché è ricavato da una canna che porta questo nome (busfarsi), con la quale si fanno anche i flauti. Si compone di diversi elementi, che si possono togliere per accordarsi con la voce del cantante; di solito si usa questo strumento per accompagnare i mawwal. Per i ritmi, c’è il Tar (al Cairo lo chiamano Mazhar), un tamburello costruito tendendo una pelle su un telaio circolare di legno. La tablah (darabukkah) e il riqq (piccolo tamburello con sonagli) sono invece stati introdotti in Alto Egitto da poco tempo. Ma adesso si vede di tutto, come in città: violini, chitarre, fisarmoniche. Si è tutto mescolato insieme, arabo e europeo (faranji).

Le nostre ragazze si sono specializzate nella danza. Anche tra gli Haiab e i Bahlawan ci sono ballerine, ma non da molto tempo. In ogni caso non apprendono bene l’arte come i Nawar. Le ragazze dei Masalib invece non ballano. La danza si é evoluta rispetto al passato.La nostra danza non è sharqi (“orientale”), ma shabi (popolare). Ci sono differenze, per  esempio nella posizione dei piedi: non si balla sulle punte, ma sempre con la pianta posata.  Mia figlia e raqqasah (ballerina) ora abbiamo la televisione. Vede per esempio Suheir Zaki o Samia Gamal, imita qualche loro movimento e lo introduce nella danza. Noi siamo professionisti, ci guadagnamo da vivere con la danza. E’ per questo che la rinnoviamo, inserendo motivi nuovi, che piacciono alla gente. La danza così si evolve, in base ai gusti e alle richieste del pubblico. Una volta c’erano altri canti, come “ya khayin ya zamani” (o tempo, o traditore), canzoni antiche; la ballerina cantava e gli zammarin la accompagnavano. C’erano anche altre danze, diverse dalle attuali, come  la Raqset es-nacah (danza della  cammella), effettuata con le mani sopra la testa, la Raqset es-seyf (danza della spada) o la Raqset el-bunduqiyyah (del fucile). Noi procediamo in base alla richiesta de mercato. Una volta c‘era una sola ballerina; adesso quando c’é  una festa ne mando due o tre assieme, cosi possono alternarsi. Le feste durano fino al mattino, talvolta per più giorni di seguito.

Gli uomini danzano Raqset el-asaya (dei bastoni o Tahtib) e Raqset el khey (dei cavalli o Mirmah) con gli zammarin“.

 

 

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Gli zingari egiziani https://danzaemusicaaraba.com/gli-zingari-egiziani/ Thu, 29 Mar 2018 15:06:48 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=215 “Notizie sui Nawar e sugli altri gruppi zingari presenti in Egitto” Prima parte Giovanni Canova Articolo contenuto nell’antologia “La bisaccia dello Sheikh” omaggio ad Alessandro Bausani, islamista, nel sessantesimo compleanno. Quaderni del seminario di...

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“Notizie sui Nawar e sugli altri gruppi zingari presenti in Egitto”

Prima parte

Giovanni Canova

la danza zingara ai festival

la danza gitana

Articolo contenuto nell’antologia “La bisaccia dello Sheikh” omaggio ad Alessandro Bausani, islamista, nel sessantesimo compleanno.

Quaderni del seminario di lranistica, uralo-altaistica e caucasologia dell’Università degli Studi di Venezia, 1981

Nell’Alto Egitto vi è un patrimonio folkloristico di base tipo canti di lavoro o legati al ciclo della vita, vi è un’attività di musica e di danza professionale ed un tipo di musica di consumo di origine cittadina.

La gente che si occupa di arte scenica professionalmente viene sentita dal popolo come estranea, straniera, tanto che viene chiamata “Halab”, proveniente da Aleppo, con valenze di straniero e vagabondo. Ai margini di ogni città c’è un accampamento o un quartiere dove abitano questi personaggi, evitato dalle persone per bene.

Nessuno conosce la loro origine, né si occupa della loro storia e cultura, e neppure loro stessi si occupano delle proprie origini, adattandosi alle credenze locali. Cosi accadde in Europa, quando i primi zingari comparvero nel secolo XIV, giustificando la loro bizzarria con il fatto che erano egiziani erranti per penitenza, per non avere offerto ospitalità alla Sacra Famiglia.

Giunti nel mondo arabo, gli zingari compresero subito l’importanza di avere un’origine, e se ne attribuirono una, anche se forse non la conoscevano per niente.

In Egitto ed in Siria uno dei termini per indicare gli zingari è Nuri, singolare di Nawar, che potrebbe essere una deformazione del termine Luri o Luli, che in persiano indica i musicistici di origine indiana.

I Nawar colsero subito che il loro nome contiene la radice araba NWR, che indica la luce, il fuoco, ed assunsero l’epitteto di Munawwar, illuminato, termine che di solito si riferisce allaMecca e a Medina, dicendo che Nawar sarebbe stato il nome dei custodi delle lampade del tempio. Dicono che furono costretti a scappare e peregrinare a causa delle ingiuste accuse di aver rubato le lampade, cosa che invece, dicono, era stata compiuta dagli ebrei.

Secondo una leggenda che narrano ancora i cantastorie, di solito zingari, i Nawar sarebbero scappati dalla penisola arabica insieme ai Bani Hilal, o in seguito alla guerra di Basus. La famiglia del loro progenitore Jassas fu condannata, avendo perso, ad errare senza dimora, mentre i discendenti del vincitore Az Zin furono destinati a lavorare la terra, divenendo contadini.

Secondo i lessicografi arabi El Azhari lbn Manzur ed Ez Zebeydi collegato alla radice NWR cè il termine Nurah, maga, e Nuri deriverebbe da questo termine, cosi come il verbo Nawwara, ingannare.

Nell’Alto Egitto il termine è pronunciato Nawwar o Nawwarah al plurale, e Nawwari o Nawwariyyah al singolare.

Esistono nell’Alto Egitto almeno quattro gruppi di zingari: i Nawar, gli Haiab, i Bahlawan ed i Masalib, ma sono tutti definiti comunemente Halab (nel medio e basso Egitto Ghajar, in Siria Nawar, in Iraq Kawli ecc.). Ogni gruppo ha però caratteristiche e tradizioni a sé stanti: i Nawar si dedicano alla musica ed alla danza professionale, gli Halab lavorano il ferro, i Bahlawan si esibiscono come giocolieri ed addestrano gli animali per spettacoli di tipo circense, i Masalib forse non sono neppure veri zingari, ma vengono ad essi accomunati per la tradizione di commercio e di musica. Una categoria a parte sono i Jamasi (jamus=bufalo), che girano vendendo latte (un tempo acqua), e si proclamano discendenti della tribù dei Banu Hilal. Questa attività è considerata disdicevole dalla tradizione contadina, che crede che pane, latte ed acqua non andrebbero venduti ma donati a chi ne ha bisogno.

In tutti i gruppi zingari vi sono dei poeti, ma le donne Masalib non ballano pubblicamente come invece fanno le altre. Manca loro culturalmente il senso di attaccamento alla casa e dalla terra tipici dei Fellahin (dicono che quando moriranno non potranno portarle con sé). Non rispettano le autorità sociali politiche, ma solo quelle degli anziani del gruppo. L’organizzazione familiare è di tipo islamico (poligamia, matrimonio endogamico, divorzio ecc). Gli uomini amministrano i beni ma le donne hanno un ruolo importante socialmente perché lavorano (sono danzatrici, giostraie, chiromanti, venditrici ambulanti ecc). l figli sono allevati dalle donne anziane e l’educazione è molto perrnissiva. Si tende a ritardare il matrimonio per motivi economici.

La gente comune ha una diffidenza molto profonda verso gli zingari, che sono visti come poco religiosi, immorali, rapitori di bambini, e soprattutto considera disdicevole che le donne zingare ballino in pubblico, anche se la danza è molto apprezzata da tutti nelle feste, che sono importanti occasioni sociali nelle campagne. La disapprovazione fra contadini e zingari è comunque reciproca, tanto che gli zingari chiamano i fellahin “Mokhkh maqful”, cervello chiuso, o anche “mokhkh nashef”, cervello secco.

I cantastorie zingari che narrano l’epica dei Banu Hilal sono molto importanti per tramandare la storia e la tradizione, soprattutto se si considera che in alcune regioni la popolazione non possiede altre fonti di informazione. l cantastorie si sentoni diretti discendenti di quella tribù, cosi come le ballerine si sentono le eredi culturali delle danzatrici barmecidi che davano spettacolo nelle corti abbasidi, se non addirittura delle danzatrici ritratte sulle piramidi e sulle tombe faraoniche.

Intervista a Yusef Mazin

Nawar di 75 anni, padre delle più famose danzatrici dell’Alto Egitto, stimato componente di una famiglia di artisti e profondo conoscitore delle tradizioni. L’intervista è stata registrata a Luqsor il 6 ottobre 1979. Yusef ha accettato di introdurci nel suo mondo a patto che Khomeyni non venga a sapere che i Nawar sono ancora vivi e lavorano in Egitto, nonostante i suoi anatemi.

Nella cultura Nawar è importantissima la tradizione artistica professionale familiare.

danze zingare ai festival

danze nomadi gitane zingare

I Nawar e le loro origini

“Mi chiamo Yusef Mazin Mohammad Khalifah Reshwan Abd el Al Hamad Abu n-Nur. E’ stato quest’uItimo, Hamad Abu n-Nur, a venire in Egitto dal Kurdistan con la sua gente, attraverso la Siria. Molto tempo fa, saranno passati più di 500 anni. Alcuni gruppi di Banu Nur si sono fermati in Siria, altri sono andati in Iraq e in Kuwait, altri ancora in Sudan, a Khartoum. Quelli che sono venuti in Egitto si sono stabiliti a Simbillawen (Al Mansurah), presso il Cairo, a El Fayyoum, a Farshut (Naj Hammadi), a Bdir e a Luqsor (Qena). I nostri avi dicevano che erano partiti dal Kurdistan. ll nome originario della nostra tribù è Al Haramshah; poi ci siamo mescolati e siamo diventati la tribù Nawar, ma in origine eravamo della Qabilqt Al Akrad. La nostra lingua era il farsi, ma è andata in gran parte persa, si è modificata. Ora siamo egiziani. Una volta giunti in Egitto dai confini della Persia i miei avi sono scesi e si sono sparpagliati lungo il Nilo. Non abitavano nei centri abitati, nei villaggi, ma in tende ai limiti del deserto. Dovettero cercarsi una professione per guadagnarsi da vivere: gli uomini impararono a suonare il flauto, e le ragazze si misero a cantare e a ballare. Fecero questo lavoro, si imparentarono con i Nawar e tutta la tribù divenne Nawarah. l Nawar in Egitto sonosempre stati degli artisti. Ma là nella nostra terra, nel Kurdistan, non ci sono Nawar, non c’è niente che si chiami cosi, ma Haramshah.

Perché ci chiamiamo Nawar? ll nostro progenitore è Hamad Abu n-Nur. Suo nonno aveva il compito di accendere le lampade al sacro recinto della Mecca. La sua famiglia si chiamava A’let Abu n-Nur. Ebbene, le lampade erano d’oro. Un giomo venne un ebreo dalla città di Kheybar e rubò le lampade. Abu n-Nur fu accusato del furto, e per punizione venne cacciato con tutta la sua gente. Ma il ladro era l’ebreo! Abu n-Nur emigrò nel Kurdistan, e da qui si spostò in altri paesi, la Siria, l’Egitto, perché là in Kurdistan non c’era sicurezza, c’erano guerre. Una volta dominava l’anarchia (fawda), una tribù che subiva dei torti non aveva nessuno a cui chiedere aiuto. La forte si mangiava la debole, costringendola ad abbandonare il paese”.

 

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