teoria musicale araba | Danza e Musica Araba https://danzaemusicaaraba.com L'universo artistico del Medio Oriente Mon, 04 Jun 2018 12:58:31 +0000 it-IT hourly 1 Musica in Egitto https://danzaemusicaaraba.com/musica-in-egitto/ Tue, 27 Mar 2018 16:49:57 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=117 Musiques d’Egipte di Frédéric Lagrange traduzione integrale di Sabina Todaro Introduzione Questo libro di Lagrange è estremamente interessante non solo rispetto alla musica egiziana ma anche per ciò che riguarda la musica araba in...

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Musiques d’Egipte

di Frédéric Lagrange

traduzione integrale di Sabina Todaro

Introduzione

Questo libro di Lagrange è estremamente interessante non solo rispetto alla musica egiziana ma anche per ciò che riguarda la musica araba in generale.

Lagrange è uno studioso che conosce bene non soltanto la musica ma anche la cultura e la mentalità egiziana, e leggere il suo libro ci dà enormi spunti di riflessione. Per questo la traduzione è questa volta assolutamente integrale, parola per parola, cosa che richiede purtroppo di dividere l’opera in due parti.

lncidentalmente, spesso, nell’opera, si parla di danza e si descrive la danza tradizionale, non quella da cabaret.

Al libro è allegato un CD.

 

Frédéric Lagrange

MUSIQUES D’EGYPTE

Ed. Musiques Du Monde Cité de la Musique/actes sud 1996

L’Egitto ha da sempre fatto sognare, e continua ad alimentare i fantasmi. I viaggiatori si sono succeduti sul suo suolo fin dalla più lontana antichità, e già Erodoto raccontò i costumi musicali propri degli abitanti della valle del Nilo. A partire dal secolo XVlll e senza più interruzioni un discorso sulla musica egiziana è stato fatto da degli europei. Le pagine avvolte da una dolce nobiltà di un Niehbuhr, quelle infiammate di un Savary hanno stimolato il desiderio di conoscere di più. Questo spirito si manifesterà con la spedizione d’Egitto del generale Bonaparte. A partire dal secolo XIX, una riflessione scientifica e sistematica fece diventare peraltro l’Egitto alla moda. l sansimonisti vi trovarono una risorsa. Una delle loro figure di punta, il compositore Félicien David, riporterà sui suoi appunti una sinfonia fresca e colorata, “Le Désert”, che segnerà la sua epoca. Un movimento turistico approfitterà della navigazione regolare dei transatlantici delle Messageries Maritimes. Attraversano il Mediterraneo, assistendo con concupiscenza e delizia all’evoluzione delle “almées” la cui reputazione aveva già da lungo tempo lasciato il suolo egiziano: esse nutrirono di fantasmi diversi una società francese moralista e pudibonda. E’ in Occidente che nascerà il mito egiziano della danza dei sette veli.

Dopo il secolo XX, l’Egitto musicale ha subito moltissimi sconvolgimenti. Non si è cessato, e con passione, di mettere in questione il suo destino, la sua ragione di essere ed il suo avvenire. Opere di letteratura musicale, sui rudimenti della musica, la comparsa del grammofono, i primi tentativi di adattamento della notazione occidentale, la proliferazione della musica militare di tipo europeo, la fondazione di scuole di musica, l’intrusione di strumenti copiati da un modello occidentale, tutto questo non ha fatto che contribuire a uno sviluppo che prosegue fino a oggi e nel quale di solito le frontiere che vanno dalla tradizione alla modernità saltano. Per di più, una vita musicale di prima qualità, sia al Cairo che ad Alessandria, ha attratto personaggi prestigiosi: Sarah Bernhardt, Wilelm Furtwangler, Beniamino Gigli, Heifetz, Wilhelm Backhaus, Aram Kachaturian, Edith Piaf e molti altri, tutti glorificati dalla stagione dell’Opera del Cairo. Vi hanno lasciato dei ricordi incancellabili. Per contro, l’Egitto ha imposto all’estero e in Occidente le sue figure di punta, particolarmente quelle di due giganti, la quarta piramide d’Egitto, Umm Kulthum, e il compositore e cantante modernista Muhammad Abd al Wahhab. ln questi ultimi decenni, l’immagine dell’Egitto si è egualmente arricchita di un nuovo tema, più locale, quello dei Musicisti del Nilo, che simpaticamente sono venuti ad incastonarsi in un paesaggio musicale occidentale già riccamente sollecitato da multiple influenze.

Frédéric Lagrange, dalle pagine che seguono, smonta con una conoscenza perfetta e una rara maestria, il meccanismo di questa avventura e la sua posta in gioco. Sottolinea la sua complessità e la sua ricchezza. Tenta di mostrare che la vita musicale egiziana non è stata circoscritta a qualche individuo, ma che numerose figure, spesso anonime, cadute nell’oblio, hanno contribuito tanto quanto le celebrità sospinte nel firmamento. La musica colta è il suo argomento; vi si muove con agio. Tutto sommato è il risultato di una riflessione approfondita, esposta in una brillante tesi di dottorato. Ha scoperto gli arcani della musica in Egitto, marginali come nella prima metà del secolo e magnifica un ritomo al suo cammino di un tempo, quello percorso da Abduh Al Hamuli e da altre voci illustri come quella di Salama Higazi, miracolosamente conservata dalle vecchie cere.

L’Egitto resta il punto di fuoco del mondo arabo e occidentale. Ha attraversato le sue correnti contraddittorie, come chiariscono queste pagine. In questo cammino, la figura dei giganti non si trova sminuita, ma la febbrilità del secolo XX e le sue ramificazioni, fino a ora affare di specialisti, si pongono sotto un nuovo angolo di visuale, e salgono all’attenzione del lettore. Ne assicurano la forza e la fortuna, come modelli, nel secolo XX, in una storia immediata ma comunque erede di una millenarità.

Christian Poché

INTRODUZIONE

Forte dei suoi 50 milioni di abitanti, “corona gloriosa posta sul cuore dell’Oriente”, secondo un verso di Hafiz Ibrahim (1872-1932) che cantava Umm Kulthum, l’Egitto ha esercitato durante il corso del secolo XX un imperialismo culturale che si estendeva, seguendo la formula consacrata da Nasser, dal Golfo all’Oceano.

Dal riformismo religioso alla reazione clericale, dal ripiegamento faraonico al panarabismo, le ideologie più varie e contraddittorie sono nate in terra nilotica e si sono propagate nel mondo arabo-musulmano; al tempo stesso, l’influenza intellettuale del paese si è spinta sulla letteratura, il teatro, il cinema, e,certamente, la musica.

Quest’ultima è uno dei più sicuri vettori deIl’egemonia culturale del paese. L’attrazione esercitata dalle tradizioni musicali egiziane è antica e precede la comparsa dei media, che amplificarono una dominanza di fatto: la “contaminazione” dei repertori siro-libanesi e maghrebini da parte delle ultime creazioni alla moda del Cairo è tassativa alla lettura dei primi cataloghi di dischi stampati in Africa del Nord e in Oriente, ed è naturalmente al Cairo che si tenne il primo Congresso di musica araba nel 1932.

Nel corso del primo terzo del secolo, generazioni di intellettuali e di artisti tentarono di definire una cultura araba modema. La musica dovette essere una delle più brillanti espressioni, in un tempo in cui l’antico sogno dei Khedivi di conquistare l’Occidente imperiale non era ancora stato messo da parte dalle disillusioni e dai freni della mentalità. ll canto colto e poi una forma intermedia fra questa arte e ciò che in Francia si chiama “varietà”, si diffusero in tutte le classi sociali, dal Sa’id (Alto Egitto) alle remote campagne del Delta, e al di là delle frontiere. La canzone è il prodotto culturale più comunemente condiviso da tutti gli strati sociali, il più accessibile e quello di consumo più immediato. Queste metafore commerciali sono tanto meno innocenti quanto più la musica egiziana fu al tempo stesso esperienza di creativi e industria fiorente, affare di mercanti, di mecenati, di clientelarismo e insieme di artisti.

L’Egitto è un punto di incontro di tradizioni, e il secolo XX un tempo di sperimentazioni. Una fase dello sviluppo endogeno seguì la prima guerra mondiale e una musica di corte si costruì ispirandosi ai canti religiosi, ai ritmi e alle danze popolari e alle tradizioni arabe, turche e persiane. L’aspirazione al progresso universale condusse in seguito certi musicisti professionisti, protetti dalla nascente industria del disco così come dagli intellettuali a offrire una nuova giovinezza alla musica colta araba attraverso la via della fecondazione esogena. Fra l’attrazione della facilità, incoraggiata dal commercio, e la ricerca di una nuovaespressività, richiesta dall’élite, la musica egiziana di grande diffusione brancolò per poi partorire delleforme che coprono uno spettro musicale ampio, dall’arte destinata alla posterità al divertimento più leggero.

Ma queste forme furono tutte concepite, scritte ed interpretate nel seno di un unico gruppo di compositori,di strumentisti e di cantanti il ricordo dei quali occupa ancora la cresta emersa della musica dell’Egitto.

Questo aspetto della produzione musicale egiziana, così incline a chiamarsi “musica araba”, non riassume affatto in essa soltanto le espressioni musicali straordinariamente varie di questo paese. Il concetto di “musica egiziana” fu nel corso del secolo XX eminentemente ideologico. La musica colta si presentò sino agli anni trenta come “musica orientale”, riconoscendo con questo vocabolo la sua tradizione contrapposta a quella ottomana. ll Congresso del Cairo, nel 1932, fu la prima occasione di confrontare le musiche dei diversi paesi di lingua araba. Gli egiziani, che tentavano al tempo stesso di definire la loro identità e la loro specificità culturale nel seno dell’insieme arabo- musulmano, si appropriarono del nuovo concetto di “musica araba” e presentarono come caratteristiche universali degli aspetti tipici della loro arte. La rivoluzione del 1952 battezzò “musica egiziana” una parte del patrimonio colto e contribuì alla diffusione della musica “modernista” da un capo all’altro del mondo arabo, per la più grande gloria della patria. Ciononostante, molti aspetti della cultura musicale egiziana, e in particolare le sue tradizioni rurali furono trascurate…

Questa opera intende presentare le musiche dell’Egitto nella loro diversità sociale, geografica e nel loro sviluppo attraverso il tempo, dall’ìnizio del secolo fino all’epoca contemporanea, includendo una riflessione sui testi cantati e sui rapporti che intercorrono fra questi e la musica che li sostiene. Le tradizioni rurali, i canti religiosi, l’arte colta e la canzone di varietà concorrono tutti insieme alla ricchezza del paesaggio musicale egiziano: nella loro globalità e nella loro interazione formano la “musica egiziana” che non cessa di portare l’anima di questo popolo al di là delle sue frontiere.

I termini seguiti da un asterisco sono riportati nel glossario.

 

MUSICHE RURALI TRADIZIONALI

Le espressioni sonore e vocali che fanno parte dei repertori sacri e popolari sono alla base di ciò che gli egiziani considerano come “musiqa”: l’alimentano con ritmi, formule melodiche, morale e uomini.

Ma queste sorgenti primordiali che sono la salmodia coranica, gli inni religiosi tutte le forme di musica popolare rurale non fanno parte integralmente del patrimonio della “musiqa”. Per gli esecutori così come per il pubblico, la salmodia del Corano non entra nella categoria “musica”, e Bridget Connelly nel suo lavoro sul folklore epico egiziano segnala bene le reticenze degli egiziani a guardare ai poeti delle “gesta hilaliane” come a dei cantanti o dei musicisti; secondo il termine storico, “dicono” la poesia,. l termini derivati dalla radice greca del vocabolo arabo “musiqa” si riferisce tradizionalmente ad un’arte colta o semi colta (musica di varietà e di divertimento), esercitata da professionisti del piacere intenti a provocare una emozione estetica (tarab*), che trova in se stessa la sua sola ragione di essere. Le espressioni musicali associate aduna funzione sociale o religiosa portano il termine tecnico che le designa, o appartengono, nel caso dei canti popolari, al dominio del “maghna baladi” (canto rurale).

ll termine “baladi” (locale, rurale), che a volte presso gli abitanti della città assume una connotazione di leggero disprezzo, di fronte al mondo “sottosviluppato” delle campagne, era all’inizio del secolo la sola classificazione che permettesse di inglobare la musica folkloristica ed è questo il termine che troviamo nei cataloghi delle case discografiche che presentavano a un pubblico cittadino curioso qualche rara incisione  di un’arte che si poteva ancora ascoltare nei villaggi. A partire dagli atti del Congresso del Cairo del 1932 apparve la nozione di “aghani sha’biyya” (canzoni popolari), sotto l’influenza degli etnomusicologi occidentali. Le traduzioni arabe del concetto di “musica popolare” e di “folklore” sono oggi correntemente utilizzate, mentre queste produzioni musicali si cancellano progressivamente di fronte alla musica di varietà, diffusa dai media.

In ogni caso, questa estinzione è più lenta di quanto non lasciassero presagire le lamentele dei congressisti del 1932, di Hans Hickmann (1958) o di Tiberiu Alexandru e di Emile Wahba (1967), pionieri delle registrazioni scientifiche della musica popolare egiziana. Certamente alcuni strumenti si sono modificati, le interazioni con la musica di varietà si sono fatte più evidenti, ma i suonatori di mizmar* (oboe popolare) degli anni ’10 registrarono di certo sui 78 giri delle versioni “baladi” di pezzi del repertorio strumentale colto egitto-ottomano… I generi fondamentali che costituiscono l’armatura della tradizione popolare egiziana hanno ancora numerosi interpreti e sono senza sosta riscoperti dai ricercatori occidentali, ma anche dagli intellettuali egiziani gelosi di preservare la loro eredità culturale (conosciamo il notevole lavoro del poeta Abd al Rahman al Abnudi nella raccolta delle Gesta Hilaliane), o da istituzioni governative sensibilizzate alla difesa delle arti popolari.

L’eredità faraonica

La questione dei rapporti fra la tradizione musicale popolare egiziana contemporanea e la musica dell’era faraonica non ha cessato di preoccupare i ricercatori. Curt Sachs, il precursore tedesco della musicologia comparatista propose negli anni trenta l’ipotesi plausibile di una struttura pentatonica della musica faraonica. La natura pentatonica delle melodie strumentali o cantate in Nubia e al nord del Sudan, la scoperta dei costumi della tribù dei Bìcharin rinforzano questa ipotesi di un sottostrato africano molto antico che si sarebbe conservato nelle zone più meridionali del paese, mentre la musica del Delta e dell’Egitto Medio avrebbe sostituito a quelle scale antiche i micro intervalli tipici della tradizione medio orientale. Si sottolinea anche, nel “namim” o nel “marbu”, tipi di canti interpretati nella regione di Aswan, una struttura melodica pentatonica inusitata più a nord. Delle similitudini fra gli strumenti rappresentati sui monumenti antichi e gli strumenti moderni del repertorio rurale hanno parimenti colpito i folkloristi: Alexandru sottolinea che il “qithar*’ o “tanbura”*, lira a cinque corde suonata nella regione di Aswan, è accordata in modo pentatonico nel Sa’id, e la identifica come una derivazione della cetra dei bassorilievi faraonici. E’ notevole che l’interesse portato dagli egiziani alla musica dei loro antenati coinciderebbe con l’apogeo dell’ideologia “faraonista”, che voleva (riaffermare il legame che univa il popolo che aveva eretto le piramidi con il moderno Fellah (contadino) e rimettere la cultura egiziana nel quadro mediterraneo ed ellenistico sorpassando, inglobandola, la dimensione arabo-musulmana. E’ a partire dal 1935 che il musicologo Mahmoud Ahmad Al Hifni fece apparire nella sua prima rivista “Al musiqa’ una serie di articoli sulla musica degli antichi egizi, seguiti da un libro nel 1936. Questo progetto intendeva superare l’antica nozione di musica orientale per giungere a quella di una musica nazionale egiziana, erede di molteplici influenze storiche, reali o mitizzate, ma consciamente rivendicate.

Nel suo “Rapporto preliminare sulle tracce dell’arte musicale faraonica nella melopea della Valle del Nilo”(1958), Hans Hickmann tentò di portare altre prove di una continuità musicale. La sua esposizione si fonda essenzialmente su dei fenomeni di battito delle mani e dei piedi combinati in maniera “variata e artistica, ritmica piuttosto che metrica”, osservati nell’Alto Egitto e in Nubia, e che gli paiono una sopravvivenza dell’arte dei ritmi antichi. Nota anche che una forma modernizzata del sistro, il ninnolo sacro dei sacerdoti dell’antichità, si è mantenuta in certe cerimonie della chiesa etiopica mentre è stato rimpiazzato nella liturgia copta da cimbali e triangolo (naqus). I cimbali egiziani, formati da due sottili placche di bronzo forate nel loro centro, sono senza dubbio all’origine dei sagat che utilizzano le attuali danzatrici, e il tamburello a cornice era in uso nelle piccole orchestre femminili del Nuovo Impero. ll clarinetto a doppia canna conosciuto nella V dinastia è apparentemente identico alla moderna “zummara” e anche il suo timbro deve essere molto simile (Ziegler 1991, 11-12). Per contro, l’oboe e l’arpa non si sono conservati. Queste somiglianze non sono comunque delle prove definitive di una parentela diretta fra l’arte degli antichi egizi e la musica popolare attualmente praticata nella Valle del Nilo. Forse è più notevole della permanenza strumentale è la persistenza di certe tematiche: Hickmann (1958, 23) cita così un “racconto del gatto e del topo” interpretato da un gruppo folkloristico di Asyut, che corrisponde in tutto e per tutto a una favola faraonica. Ma è soprattutto nelle lamentazioni funebri che si ritrova una eco del passato, o nei viaggi iniziatici del “maddah*” che conduce dalle tombe dei santi in Zawiya benedetta che si ritrova una eco delle peregrinazioni di santuario in santuario attraverso le città dell’Egitto antico che ospitavano il tempio di un dio?

Gli strumenti della musica popolare rurale

L’impiego di strumenti melodici è quasi sempre opera di professionisti o di semiprofessionisti, e solamente le percussioni sono correntemente suonate da dei dilettanti. Gli “alatiyya*“ (termine formato sulla radice “ala”, strumento) appartengono spesso a famiglie di professionisti che trasmettono il mestiere di padre in figlio (le donne suonano raramente strumenti melodici, escludendo le awalim*), e si fanno conoscere nel loro villaggio di origine prima di spostarsi attraverso il paese per animare feste, matrimoni, circoncisioni, mawlid*, e per accompagnare i cantanti professionisti. I canti di lavoro o della vita quotidiana sono di solito puramente vocali o accompagnati da dei membranofoni, mentre le espressioni musicali legate alle festività richiedono l’aiuto di musicisti itineranti o stanziati nella località specifica. E’ così che al di là di certe particolarità regionali, lo strumentario egiziano è relativamente omogeneo, a differenza dei canti, delle danze e della struttura modale, che cambiano fortemente dal Basso all’Alto Egitto, dal Sinai alla Nubia,dagli ambiti paesani alle tribù arabe ancora non completamente sedentarizzate.

Gli strumenti a fiato si dividono in tre famiglie principali: flauti, clarinetti (ad ancia semplice) e oboi (ad ancia doppia), i cui domini di utilizzazione si sovrappongono. Lo strumento essenziale della musica religiosa cosi come di quella profana è il flauto di canna, il nay*, termine generico che indica il flauto della musica colta, generalmente più lungo e di sezione più piccola rispetto agli strumenti popolari. Il flauto di canna presenta sei fori e viene tenuto obliquo dallo strumentista. Egli ne possiede una grande varietà, a seconda dei differenti toni e preparati per le varie scale musicali. Il flauto senza imboccatura è chiamato suffara, uffata o salamiyya a seconda delle regioni, e misura da 20 a 45 cm di lunghezza per un diametro di 20mm (El Shawan, 1994, 319). ll Nay kawala a sei fori è più corto e di sezione più larga del nay normale. Viene utilizzato per la betana del maddah, ma trova oggi spesso un utilizzo nella musica moderna di varietà.

Il doppio clarinetto arghul* è uno strumento peculiarmente egiziano, utilizzato nell’accompagnamento dei canti epici, dei mawwal* e delle danze. ll grande arghul (arghul kabir) è formato da un bordone di bambù di misura molto grande, che può raggiungere i 2,5 m, costituito al massimo da nove parti che si infilano le une nelle altre, e che non producono solitamente che tre note (Eisner, 1969, 239). ll tubo melodico, di circa 70cm, è forato da cinque o sei buchi, accordati su di una scala diatonica, ed è raccordato al bordone con cera e corde. Tramite una tecnica di soffio e di otturazione parziale dei fori, gli intervalli neutri della musica egiziana vi possono essere riprodotti. Altre varietà di arghul correntemente utilizzate sono: l’arghul saghir(piccolo), lungo dai 60 agli 85 cm, il tormay (”tramway”, senza dubbio cosi chiamato poiché i suoi due elementi costitutivi ricordano due binari paralleli) che è un piccolo arghul utilizzato nell’Egitto Medio, il cui bordone è prolungato da un padiglione di lamiera, la qurma, che ha due canne delle stessa lunghezza, così come la zummara, della quale ogni canna ha sei fori.

Il termine mizmar è utilizzato per designare diversi tipi di oboi popolari in legno. Il mizmar possiede otto buchi e la sua canna cilindrica termina in un padiglione conico (Alexandru, 1967). I gruppi di mizmar impiegano in genere tre strumenti di misura e timbro diversi, dal piccolo sibs acuto, di una trentina di cm, che suona la melodia, passando per la shalabiyya, o mizmar sa’idi, di una quarantina di cm, sino al grandetelt, di una sessantina di cm, che suona una nota di bordone. l gruppi di mizmar includono spesso tre suonatori e dei percussionisti, e conoscono, oltre all’accompagnamento dei cantanti, un repertorio strumentale variato legato alla danza: la danza del cavallo (raqs al khayi) o la danza del bastone (tahtib) incui due avversari mimano un combattimento.

Gli strumenti a corde sono più rari nel repertorio popolare che nel genere colto, e sono sempre legati a utilizzi o ad aree particolari. Fino al secolo XIX esistevano in Egitto due tipi di viole ad archetto, la rababa*al Sha’ir (rabab del poeta), di cassa rettangolare dotata di una sola corda di crine di cavallo, e la rababat almughanni* (rababa del cantante), che misura circa 90 cm. La rababa è costituita da una cassa di noce dicocco sulla quale viene tesa una membrana di cuoio o di pelle di pesce (raqma), fissata su di un pezzo dilegno, dotata di due corde accordate con un intervallo di quarta, il qawwal (corda parlante) ed il raddad(ripetitrice). E’ raro che sia utilizzata più di una ottava durante una esecuzione, benché lo strumento possa superare un’estensione tanto limitata. Le corde sono sfregate da un archetto di bambù con applicati dei crini di cavallo. Un simile strumento rettangolare rimane utilizzato nel Golfo Persico, e nel sud della Siria (Poché 1984, 177-178), ma è scomparso in Egitto dove rimane solo l’altro modello, usato dai cantori epici. Lostrumento è tenuto obliquo e si appoggia sul grembo del suonatore. Il repertorio epico non è il solo campo di utilizzo della rababa; non vi è dubbio che questo strumento fosse parte integrante del takht* della musica colta prima di essere soppiantato dal violino europeo nella seconda parte del secolo XIX, e una musica strumentale che include parecchie rababa e delle percussioni, mescolando danza e taqsim (improvvisazioni libere o in misura), è ancora suonata da un artista virtuoso come Metqal Qinawi Metqal di Kamak(Alexandru, 1967; Weber, 1976).

Tanbura e simsimiyya* indicano praticamente lo stesso strumento. Sì tratta di una lira a cinque corde tese su di una cassa di risonanza rotonda, utilizzata sulla costa del Mar Rosso e nello Yemen. La tanbura, usata nella regione di Aswan e nell’Alto Egitto, è accordata in modo pentatonico, mentre lo strumento che è diffuso nella zona del canale di Suez nella seconda parte del secolo XX si chiama simsimiyya, e riproduce gli intervalli propri della musica egiziana del Delta. Le corde possono essere pizzicate con le dita o con un plettro. La simsimiyya era tradizionalmente suonata nei caffè di Port Said da gruppi di sahbageyya, semiprofessionisti che ritmavano il loro canto responsoriale con battiti di mani (Safwat Kamal, 1994, 11). La versione modema dello strumento suonato dai gruppi folkloristici della regione del canale può ormai contare anche una dozzina di corde. Questi gruppi prevedono due strumenti, accordati ad altezze diverse per allargare l’estensione del suono, da percussionisti e cantanti che interpretano un repertorio originale di canzoni con ritornello ispirate alla taqtuqa, così come la “firqat al tanbura lil funun al shabiyya” (Ensemble di tanbura per le arti popolari), fondata a Port Said nel 1989. Si nota in questa pratica innovativa l’influenza della musica colta, nella presenza di brevi taqsim che precedono i canti collettivi, durante i quali tracce di ottavazione e di eterofonia* volute fra i due suonatori della melodia mostrano una contaminazione da parte del suono del qanun*, in particolare nella tecnica messa in atto con il plettro.

I due strumenti a percussione principali sono la darabukka* e il riqq*. La darabukka o tabla è un grosso vaso di terracotta (o ormai di metallo), a forma di imbuto dal collo largo, ricoperto da una pelle di pesce (raqma) o di plastica. Il tabbàl la suona seduto e tiene lo strumento appoggiato in diagonale sulla coscia, producendo il dum sonoro con un colpo al centro della membrana e il tak schioccante sul bordo della pelle, cioè sul vaso. Effetti virtuosistici sono ottenuti bloccando la membrana con un dito, creando una eco tenendo il palmo semi-aperto sulla superficie dello strumento, oppure introducendo un braccio nel collo. Lo strumento è stato per lungo tempo legato alle suonatrici awaiim, le cantanti dei matrimoni. E’ uno strumento inevitabile nei gruppi popolari, ed è entrato nel repertorio classico urbano a partire dalla prima metà del secolo XX. Il riqq, d’utilizzo più complesso, è un pesante tamburello montato su una cornice di legno con una raqma, o a volte semplicemente con una pelle di capra. Cinque paia di cimbaletti metallici sono posti sul bordo dello strumento, tenuto con due mani dal raqqàq con i pollici verso il basso e di fronte al viso. La pelle deve essere riscaldata per ottenere una risonanza ottimale, ed è diventato frequente vedere degli strumenti di metallo con membrana di plastica, che producono, secondo i musicisti intervistati, una sonorità soddisfacente. Altri membranofoni sono parzialmente legati alla musica religiosa e ai gruppi mistici: il duff, tamburello sensibilmente più largo del riqq (25-30 cm), più rudimentale e a volte privo di cimbaletti, il tar, senza cimbaletti, la hanna o bendir, di diametro ancora maggiore (50 cm) e necessariamente privo di cimbali. lnfine le formazioni di mizmar professionali includono una tabla baladi, grossa cassa a due membrane percossa da un lato con un bastoncino e dall’altro con un pezzo di legno (Alexandru, 1967).

Feste e rituali sociali

La dimensione collettiva del canto legato alla nascita, alla circoncisione, alle nozze, all’esorcismo o alla morte è una costante comune a tutte le regioni dell’Egitto. La tecnica del responsoriale, o la ripetizione di un ritornello da parte del gruppo mentre la strofa è interpretata da un solista, la voce di un cantante (il molo viene a volte assunto da diverse persone a turno) che si leva su di un ostinato dei coristi, sono tutti fenomeni musicologici che si ritrovano in numerose culture, ma che sottolineano bene in Egitto i registri rurali, religiosi, colti tradizionali e il varietà contemporaneo. I canti a ritmo organizzato seguono di solito un modello a ritornello e strofe posti su di una medesima frase melodica, la Taqtuqa. ll ciclo impiegato, sincopato e danzante, è solitamente una delle forme del Wahda wa noss, a volte chiamato Malfuf o anche Baladi. E’ il caso di un canto variabile come quello interpretato all’occasione di un sebu’, di una circoncisione, di un matrimonio, o di una canzone di pescatori dell’oasi di Fayum che Alexandru registrò nel 1967. Più rare combinazioni ritmiche, che mescolano degli idiofoni di fortuna con battimani o colpi di piedi esistono soprattutto nelle regioni più decentrate: Nubia o Sinai. I canti di rituale sociale sono spesso curati dalle donne della famiglia: i professionisti della musica sono rari in ambito rurale. Citiamo le Ghawazi, danzatrici invitate nelle feste di nozze. Ritmano le loro danze con l’aiuto dei sagat, cimbaletti di cuoio o di bronzo di un diametro di sei centimetri, forati al centro e che si fissano al pollice ed al medio di ciascuna mano. Esse possono così rispondere a contrappunto al ciclo ritmico suonato dal percussionista. A volte cantano, oltre a danzare, ma il repertorio che interpretano attualmente è essenzialmente basato sul varietà che trasmettono i media, riprodotto con l’orchestra limitata a un violinista, un fisarmonicista, un flautista e dei percussionisti.

Una abitudine ancora vivente è quella del sebu’, la festa che segna il settimo giomo che segue la nascita di un neonato. Si getta del sale attraverso la casa per proteggere dal malocchio e il neonato è posto in un grande setaccio (ghurbal) insieme con i semi di sette piante della valle del Nilo, mentre un gruppo composto da donne della famiglia ed alatiyya interpreta un canto di un particolare repertorio, del quale i pezzi più noti trovano origine nelle tribù beduine (Ahmad Amin, 1953, 229): “birgalatak birgalatak halaq dahab fe wadanatak”, gli uomini della tua famiglia ti offrono un anello d’oro per le tue orecchie.

E’ ancora in uso sentire un raccontino che si ritrova in quattro versioni, a seconda che la famiglia sia contenta o delusa per la nascita di un bambino o di una bambina. ln caso di felicità si canta:

Iamma qalu da ghulam                       quando mi hanno annunciato un bambino

etshadd-e dahri we qam                     la mia schiena si è risvegliata

we gabu-li l-bed meqashshar              mi hanno portato un uovo sbucciato

we aleb es-samn ‘am                         immerso in buon burro

oppure

Iamma qalu di buneyya                       quando mi hanno annunciato una bambina

qolt-e ya Iela haneyya                        mi sono detto: che buona fortuna!

totbokh lì we te’gen li                          mi aiuterà a cucinare e a impastare

we temla I-gerar mayya                      e riempirà d’acqua le giare

E in caso di delusione:

Iamma qalu da ghulam                        quando mi hanno annunciato un bambino

qolt-e ya lela zalam                             mi son detto che calamità

akabbaro w asammeno                       lo devo allevare e nutrire

we takhdo menni bent el haram           e me lo ruberà una smorfiosa

oppure

lamma qalu di buneyya                         quando mi hanno annunciato una bambina

haddamu I-fom alayyaa                       mi hanno rotto il forno addosso

we gabu-li l-bed be-qeshro                   mi hanno portato l’uovo ed il suo guscio

we bedal es-samn mayya                     e dell’acqua al posto di buon burro

 

Due mestieri riservati alle donne e rimasti ai margini del campo musicale hanno prosperato fino alla metà del secolo ed esistono ancora in ambito rurale: la piangitrice (mu’addida) e l’esorcista (kudyat al-zar). Le piangitrici professioniste sono necessariamente ingaggiate prima della sepoltura e si presentano nella dimora del defunto vicino alle donne della famiglia. Vestite di nero o di indaco (nila), il colore del lutto nell’antichità, prendono posto per terra in semicerchio, si coprono il capo di polvere ed agitano ritmicamente le braccia da un lato all’altro mentre elencano le qualità dal morto. Il loro canto responsoriale è a volte puramente vocale, altre volte è accompagnato da un tar (largo tamburo a cornice, privo di cimbaletti), e la loro melopea fa scattare crisi di pianti liberatori. Allora esse tacciono, per poi riprendere l’elencazione fino alla spossatezza dei parenti.

Quanto alla khudya, essa è l’animatrice o la shaykha che conduce uno zar. Si tratta di una cerimonia contro l’ammaliamento, sconfessata dall’lslam ufficiale e praticata fra le donne, il cui scopo è il raggiungimento di uno stato di transe liberatoria attraverso la danza su di un ritmo binario in un tempo che va crescendo. Questo rituale “sembra essersi integrato a delle pratiche magiche d’origine faraonica, che consistevano in un tentativo di terapia del fenomeno femminile della possessione” (Moussali, 1988, 54). Questa manifestazione si trova dalla Palestina fino al Sudan, con modalità sensibilmente diverse. La presenza distrumenti melodici è facoltativa (flauti nay e piccoli oboi sibs), ma le percussioni sono indispensabili: tar, Cdiukka, riqq, sagat vi trovano il loro impiego nei gruppi professionali che possono comprendere la presenza di strumentisti maschi (Hickmann, 1979, 44-48). Delle sezioni solistiche si alternano a frasi magiche collettive e a ritornelli interpretati da tutto il gruppo. I professionisti conoscono una grande varietà di canti, associati ai demoni che assalgono la vittima e ai santi dei quali si richiede l’intercessione, come Sayyid al Badawi. Il Congresso del Cairo del 1932 registrò un gruppo di zar egiziano, quello di Umm Ibrahim al Mahdiyya, e un gruppo sudanese. ll dialetto sa’idiano (Alto Egitto) che è utilizzato nel canto registrato si mescola qui alla lingua nubiana ”rotana” e la melodia acuta si riassume in questo esempio raro a una sola frase melodica molto semplice, sul genere bayati, cantato in responsoriale fra la shaykha e le sue coriste.

I folklorista Ahmad Amin tracciò un quadro pittoresco delle cerimonie di zar all’inizio del secolo (1953, 217): la donna che si sente posseduta da un ifrit (demone) riceveva a casa sua la visita della kudya e delle sue accolite. Seduta su di una sedia nel centro della riunione, i piedi della posseduta venivano dapprima legati prima che essa venisse liberata per la danza, e si posizionava un gallo sulla sua testa e un pollo su ciascuna spalla. l sacrifici di pollame sono ancora spesso una parte integrante del rituale. Mescolando canti ed ululii, la shaykha chiedeva la protezione di Dio e dei santi contro i demoni tramite la formula rituale ‘dastur ya asyadi, madad ya hl- Allah’ (protezione, o miei signori, aiuto, o gente di Dio), mentre i membri del gruppo battevano sulle percussioni e rispondevano alle invocazioni. Una donna appariva allora, vestita come un santo sufi, portando una cappa ricamata d’oro e un copricapo incastonato di perle, e danzava con un pugnale intorno alla stregata accompagnata dai canti del coro. La donna travestita giocava cosi il ruolo del santo e la posseduta diventava la sua sposa fittizia, danzando davanti al gruppo fino alla transe ed allo sfinimento. Il chiamare “mamma” che si sente nelle registrazioni del Congresso è una formula magica ricorrente dello zar: si tratta di una delle divinità tutelari della cerimonia, come Rumi nagdi, Abu Mraya (‘Quello dello specchio”), e Banat al madrasa (“Le scolare”).

I poeti delle gesta hilaliane

La migrazione delle tribù beduine hilaliane nel corso del secolo Xl dalla loro terra d’origine, lo Yemen, fino alla Tunisia, passando per il Nagd, lo Higaz e l’Egitto che devastarono a turno, è un awenimento storico di portata limitata che dobbiamo porre nel quadro dei tentativi della dinastia fatimita egiziana per sbarazzarsi di importuni saccheggiatori e indebolire i sovrani di Kairouan, gli Ziridi. Culturalmente, le vestigia del loro passaggio sono considerevoli. A dispetto dell’esiguo numero di anni nel corso dei quali i Banu Hilal transitarono nel territorio egiziano, nel Delta e poi nell’Alto Egitto, le disavventure di questi Arabi irrispettosi delle leggi che governavano le comunità rurali ma che portavano i valori dell’onore e della fedeltà incorruttibile, si trasformarono in una epopea popolare che proiettava un ideale morale atemporale e mitico su questi uomini del passato; il “poeta” egiziano contemporaneo ‘incorpora la realtà corrente nel passato e il passato nel presente” (Connelly, 1986, 56).

Le gesta hilaliane contengono tre parti: la prima narra la fase yemenita delle loro avventure e la nascita dell’eroe Abu Zayd al Hilali, il figlio dalla pelle nera del principe Rizq e della bella Khadra’, figlia dellosceriffo della Mecca. La seconda fase evoca la partenza degli Hilaliani, spinti dalla fame, verso il Nagd. Storie di donne separano Abu Zayd dal suo alleato Diyab e si concludono con la vittoria del primo. L’ultima parte evoca la lunga transumanza verso Ovest della tribù e l’amore che uni Sa’ada, figlia di Khalifa, il capo della tribù degli Zanati (berberi che si opponevano ai beduini Hilaliani), ad uno dei luogotenenti di Abu Zayd. Dopo aver trionfato sugli Zanati ed avere ucciso Khalifa, gli Hilaliani si dividono e Diyab assassina Abu Zayd, scatenando un ciclo di vendette. Queste linee riassumono una storia che richiede decine di serate per essere raccontata nella sua globalità. Fino alla comparsa delle poste e della radio, un cantore epico sha’ir (poeta) si poteva trovare in qualunque caffè, e gli ascoltatori che prendevano le parti di Diyab o di Abu Zayd facevano festa e decoravano il locale in caso di vittoria del loro eroe (Ahmad Amin, 1953, 21). l “poeti” sono scomparsi dai caffè, ma il mestiere non si è interamente perduto: hanno ancora un loro posto nelle feste di paese, nelle case private, e le trasmissioni radiofoniche presentate dal poeta e folklorista Abd al Rahman alAbnudi suscitano una eco sufficiente affinché villaggi interi dell’Alto Egitto inviino lettere di felicitazioni o di protesta quando un personaggio si allontana dalla tradizione (Connelly, 1986, 66). Non vi è un testo fisso che corrisponda alle gesta, e ogni poeta deve scrivere da sé le proprie quartine, ma la successione degli avvenimenti è immutabile, e gli schemi narrativi devono essere rispettati. Si trasmettono di padre in figlio, di maestro in discepolo in modo a volte mitico: è grazie a delle apparizioni dei santi o del Profeta che i recitanti dicono di essere stati iniziati alla Sira Hilaliana.

ll virtuoso della rababa Shamandi Tawfiq Mitqal interpreta durante i festival una versione più musicale, meno rispettosa dei dettagli dell’epopea, mentre i due rapsodi Sayyid al Duwl e Gabir Abu Husayn sono considerati attualmente i guardiani della tradizione. Lo Sha’ir può officiare da solo o essere assistito da un altro suonatore di rababa e da un percussionista. La rappresentazione comincia con un taqsim suonato sulla rababa, seguito dalla menzione di Dio e dalle preghiere sul Profeta. Questa apertura religiosa dura qualche minuto e si costruisce su di una frase melodica iniziale, che non è necessariamente in metrica. Una sezione in prosa viene in seguito a riassumere gli episodi precedenti e inizia la rappresentazione propriamente detta, con una suite di quartine che rimano su modello ABAB, variabile per ciascuna quartina. E’ allora che entra una seconda melodia, in misura e posta su di un tempo più rapido. Una melodia finale viene utilizzata alla fine della rappresentazione e un testo a connotazione religiosa viene nuovamente recitato. L’estensione della melodia è più ristretto nella Sira hilaliana, il numero delle frasi melodiche utilizzate e molto limitato e la bellezza della voce non è affatto condizionante per l’interpretazione. ll valore di una recitazione si situa, per gli artisti come per l’uditorio, nell’autenticità e nella precisione del racconto presentato.

Il mawwal

Questo termine generico indica diversi tipi di poema in lingua dialettale, che possono essere declamati o cantati. Giornali dedicati alla poesia popolare pubblicarono all’inizio del secolo dei mawwal politici, e le trasformazioni della società vi venivano prese in giro sotto questa forma in una prospettiva puramente letteraria. Ciononostante, la tecnica di canto associata a questa arte, l’abitudine di fare precedere il testo da un lamento in cui la melodia era improvvisata sulle parole “o notte o occhio”, resero il mawwal unHnomeno tipicamente egiziano, a dispetto dell’origine senz’altro irakena del modello poetico originario. Il mawwal si collega alla tradizione classica della mawaliya, inaugurata, secondo la leggenda, da una fedele sura della famiglia dei visir bermecidi, assassinati nel secolo Vlll a Baghdad per ordine del califfo Harun al Rashid. ll sovrano aveva vietato ai poeti di comporre delle qasida* funebri in loro memoria, e la serva aggirò il divieto del califfo improvvisando una poesia in lingua dialettale nella quale ciascun verso terminava con una rima ricca, e l’intera poesia si concludeva con l’esclamazione “wa mawaliyah’ (ah, miei poveri maestri)… I cronisti Safi al Din al Hilali (irakeno vissuto in Egitto,,1277-1349) e Galal al Din al Suyuti(1445-1505) notarono ambedue la fortuna che il genere aveva in Egitto. Precisano che è necessario omettere le declinazioni dell’arabo classico e che è possibile impiegare vocaboli del volgare. La forma più antica di questo tipo di poesia pare contare quattro versi sul metro basit che seguono ciascuno la medesima rima. Il periodo di penetrazione del mawwal in Egitto non è noto, ma il fatto che al Suyuti ne parli prova che la forma classica vi era conosciuta a partire dal secolo XVI. Come tutte le espressioni poetiche in lingua dialettale che conobbero una grande fortuna a partire dal XIX secolo, il mawwal è spesso scritto da letterati di provincia che hanno ricevuto un’educazione religiosa o che sono passati per Al Azhar senza aver conservato una qualsivoglia ripugnanza per la lingua popolare. Mentre gli Shaykh* del Cairo scrivevano mawwal sentimentali per i cantanti di corte all’epoca del kedivé lsma’il, il mondo arabo rurale si era senza dubbio già appropriato di questa arte ludica.

Corto e sentimentale, “verde” (che trattava dell’amore fortunato) o “rosso” (sofferenza, abbandono e duri colpi del destino), lungo e narrativo, non misurato o ritmato dal riqq e dalla darabukka, questo canto fa anche parte sia del repertorio rurale che del canto colto. Ahmad Amin, nel “Dictionnaire des coutumes et des expressions égyptiennes” (1953, 249), consacra un breve articolo alla poesia popolare, a cui attribuisce caratteristiche che descrivono perfettamente il mawwal: la deliquescenza dell’amore, i pianti della separazione, il culto tributato agli occhi, alle ciglia e alle corporeature, e infine l’importanza accordata alla paronomasia, cioè all’allitterazione più o meno completa che conclude i versi. Notiamo già nei testi antichi che il mawwal è un terreno privilegiato del gioco di parole, della tawriya (allusione codificata) che consiste nel fare figurare una paronomasia alla fine del verso, sia tramite la ripetizione di uno stesso significante, riferito a due significati diversi, sia attaccando due parole che, lette rapidamente l’una in seguito all’altra, paiono equivalere all’ultima parola di un altro verso. E’ là l’applicazione a decine di versi del celebre gioco di Victor Hugo su “la tour Magne à Nimes” e “la tour magnanime“.

Una sola parola equivale così alla combinazione di due o tre parole.Queste astuzie implicano da una parte larghe influenze a livello della lingua, di termini preziosi provenienti dalla poesia amorosa del Ghazal che confina con dialettalismi e provincialismi, e forzano addirittura a delle inversioni di vocali e a distorsioni in seguito alla norma dialettale della pronuncia dei casi. Il poeta o il cantante è così costretto a ripetere più volte il suo verso, oppure a suggerire la soluzione del trucco, decomponendone gli elementi o avvicinandosi alla pronuncia abituale. L’abilità è chiamata dagli autori zahr (fiore) del mawwal, e la rivelazione del segreto è detta tazhir, come l’apertura del fiore. Pierre Cachia sottolinea che “delle spiegazioni sono raramente necessarie per i paesani e gli abitanti dei quartieri popolari delle città, che costituiscono l’uditorio usuale del cantante di mawwal. Essi sono in attesa di un gioco diparole, e si dilettano moltissimo nel decifrare e sono restii ad ammettere di fare fiasco” (1977, 91). Un mawwal composto da semplici rime o nel quale l’ultima parola sia ripetuta nella stessa accezione semantica è detto mawwal bianco e sarebbe considerato malamente dagli amatori.

La lunghezza e i modi di interpretazione e di accompagnamento dei mawwal sono molto variabili. Usualmente il mawwal corto è un canto non misurato, integralmente improvvisato e che rimane nel campo di un unico modo. Può comprendere quattro versi, ma è più frequente incontrare il mawwal a’rag (zoppo), di cinque versi dalle rime AAABA, e il nu’mani, di sette versi dalle rime AAABBBA. L’ultimo verso, chiamato taqiyya (berretto), è a volte omesso nei poemi più lunghi. ll cantante procede tramite lunghe frasi ornamentate seguendo un movimento spesso ascendente e poi discendente. Ogni verso è tagliato, la parola saliente ripetuta, la linea melodica riformulata con qualche variazione. Nel quadro popolare, l’accompagnamento strumentale è compiuto con strumenti a fiato: mizmar, suffara e/o arghul, che sottolineano il percorso melodico e lo traducono durante i silenzi del cantante.

Più che in tutte le altre parti del repertorio popolare, il mawwal si regge sulla bellezza della voce del solista. Hrhammad al Arabi (1881-1941), registrato al Congresso del Cairo del 1932, fu, con la sua concorrente, la Pellegrina Zaynab al Mansuriyya, il più celebre interprete di mawwal e di taqatiq baladi della prima parte di questo secolo. Dotato di una voce dai toni tragici, terminava ritualmente i suoi canti con l’espressione “taletalayya l-layali” (le notti mi sono ben lunghe) o “gharib we dakhil manazil’ (sono uno straniero che chiede ospitalità). Accompagnato dai suonatori di mizmar e di suffara Hasan ed Husayn, e contrappuntato dal cantante Muhammad al Sughayyat, incise per la compagnia Baidaphon decine di 78 giri, l’ascolto dei quali superò largamente l’ambito rurale e influenzò i compositori di musica popolare urbana. La darabukka o il riqq non si usavano nei mawwal di al Arabi se non nei ritornelli introduttivi, i dulab, ma il canto era sempre non misurato. Ciononostante, è possibile sentire in Egitto mawwal corti nel corso dei quali sono utilizzate delle percussioni, sia come sottofondo strumentale fra due frasi cantate non misurate, sia come ostinato che non influisce direttamente sulla linea melodica del cantante: le cadenze finali cadono a volte sui tempi forti  del ciclo ritmico, ma l’insieme della frase rimane indipendente.

Riguardo al mawwal narrativo, intercala molte decine di terzine che comportano la necessaria paronomasia tra i primi gruppi di versi, secondo il modello seguente: AAA, BBB, CCC, DDD…A. ll tipo di interpretazionedi queste ballate differisce musicologicamente dal mawwal corto. La celebre interpretazione del cantante popolare Hifni Ahmad Hasan della tragedia di Shafiqa e Metwalli illustra letterariamente e melodicamente questo genere. La storia, che si svolge negli anni venti, stigmatizza le esigenze che la società e l’onore familiare dettano agli abitanti dell’Alto Egitto. Metwalli, giovane paesano di Girga, diviene sergente maggiore dell’armata e si trova di fronte ad un soldato disobbediente che gli batte sulla spalla e che fa scattare il dramma:

qal-lo: ezzay tedrabni ya jaban          Gli disse: perché mi batti, vile!

mh edfen nafsakjuwwa jabbana        Va a seppellirti in un cimitero

‘adi sort okhtak juwwa jebi-ana         Ho la foto di tua sorella in tasca.

Si nota nell’ultimo verso la costruzione di una rima di due parole, jebi (la mia tasca) e ana (io), che formano la paronomasia con jabbana (cimitero). Metwalli ritorna a casa sua, suo padre tenta di fargli credere che sua sorella Shafiqa sia morta. Metwalli rifiuta di crederlo:

yaba, law enta rabbetha, ma trafeqsh we takhod el tor betha

padre, se tu l’avessi ben allevata, essa non avrebbe portato lo stallone a casa

tayyib, qum we warrini torbetha

alzati e vieni a mostrarmi la sua tomba!

Il padre confessa che Shafiqa è fuggita ed è diventata una prostituta. Per purificare la reputazione della famiglia, Metwalli ritrova la peccatrice e la uccide. Il cantante, tramite gli accenti della sua melodia, sa ad un tempo esprimere la tragedia della sorte di Shafiqa, vittima del destino, e confortare il suo uditorio tradizionale con un finale melodrammatico.

Numerose altre ballate sentimentali o politiche sono interpretate in Egitto, come Hasan e Na’ima, dramma della vendetta tipica dell’Alto Egitto, provocata dall’amore che il cantante popolare Hasan aveva per la bella Na’ima che scappò per raggiungere il villaggio del suo amato. La giovane era ancora vergine, ma il giovane cantante dovette comunque morire per avere attirato il disonore sulla famiglia nemica, scatenando un ciclo di violenze.

Le musiche rurali di fronte alla modernità

L’industria musicale egiziana non trascurerà mai interamente le espressioni musicali rurali: la diffusione delle poste e della radio e della televisione così come la diffusione delle cassette registrate a partire dagli anni settanta permette di superare il bersaglio cittadino abitualmente visualizzato. Negli anni settanta, una vecchia allieva dell’lstituto di musica araba, Layla Nazmi, tentò di aggiornare le canzoni folkloristiche al gusto del tempo. Mentre appariva travestita da paesana sul piccolo schermo, riprendeva i canti delle feste, delle nozze o votivi, seguita da un’orchestra e un accompagnamento ritmico dal tempo accelerato. Se l’autenticità musicale delle sue rappresentazioni era poco affidabile, le sue creazioni entrarono nel repertorio autentico degli interpreti rurali, e i testi che ella cantava, effettivamente raccolti accanto al suo pubblico rurale, traducevano finemente le influenze del progresso moderno nella società rurale: così la ragazza che decretava “ma-shrabsh es-shay ashrab qazuza ana” (non bevo tè, io bevo cose gasate) riunì i canti antichi delle almée, nei quali la ragazza provò il suo valore di venditrice esigendo una dote rispettabile, o questa taqtuqa degli anni venti in cui la sposa rifiutava il tradizionale hodag (palanchino sul dorso del cammello) ed esigeva una automobile per essere condotta alla dimora dello sposo. Allo stesso modo, Layla Nazmi divertì i Cairoti facendo loro ascoltare il nuovo testo che i paesani avevano introdotto in un celebre pezzo folkloristico, “etdalla ‘ya ‘aris ya bu lassa naylo” (giovane sposa, pavoneggiati nel tuo turbante di nylon) e confermava una caratteristica, del tempo che Tiberiu Alexandru ebbe l’occasione di constatare di persona, un canto di nozze interpretato a Damanhur da autentici paesani che descrivevano una fidanzata “tutta in nylon” (1967).

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Il buon musicista arabo https://danzaemusicaaraba.com/il-buon-musicista-arabo/ Tue, 27 Mar 2018 16:42:08 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=115 Il buon musicista nel mondo arabo Distinguere un buon muscista arabo Riguardo le capacità che un musicista arabo deve avere per poter suonare in maniera consona alla tradizione, ecco un testo chiaro e conciso...

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Il buon musicista nel mondo arabo

Distinguere un buon muscista arabo

Riguardo le capacità che un musicista arabo deve avere per poter suonare in maniera consona alla tradizione, ecco un testo chiaro e conciso di Mourad Sakli, Direttore del Centro delle Musiche Arabe e Mediterranee di Tunisi e concertista, suonatore di oud tunisino.

“Il Virtuosismo”

Nell’universo delle musiche modali del mondo arabo, il virtuosismo può essere definito come un insieme di qualità necessarie al musicista, tutte egualmente determinanti:

  • Grande maestria tecnica relativamente alle possibilità offerte dallo strumento o dalla voce.
  • Capacità di interpretare con una corretta intonazione una linea melodica. Con il termine corretta intonazione si intende il rispetto assoluto della scala del maqam (modo) e dei suoi differenti gradi la cui altezza varia (non in maniera fissa) in funzione dell’arco melodico.
  • Capacità di improvvisare nei differenti maqamat.
  • Capacità di evidenziare l’ossatura ritmica delle opere musicali anche suonando uno strumento melodico.
  • Capacità di rendere “viva” una composizione musicale, rinnovandola ad ogni interpretazione grazie all’improvvisazione estemporanea che si basa sull’ornamentazione.
  • Capacità di utilizzare un’ornamentazione che rispetti il fraseggio e lo stile dell’opera, nell’ambito sia dell’interpretazione vocale sia dell’interpretazione strumentale melodica o ritmica.
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Moralità, musica e danza https://danzaemusicaaraba.com/moralita-musica-e-danza/ Tue, 27 Mar 2018 16:39:32 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=112 Moralità, musica e danza Considerazioni morali sulle arti teatrali nel mondo arabo La religione Islamica svolge un ruolo centrale nella considerazione morale di musica, danza e canto, che sono comunque da sempre popolarmente molto...

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Moralità, musica e danza

Considerazioni morali sulle arti teatrali nel mondo arabo

La religione Islamica svolge un ruolo centrale nella considerazione morale di musica, danza e canto, che sono comunque da sempre popolarmente molto amati.

Il contesto, il pubblico presente, la forma dello spettacolo, il luogo e persino il sesso dell’artista sono criteri discriminanti molto forti, al di là della cornice religiosa.

I più diffusi contesti degli spettacoli in Egitto sono: il circuito dei matrimoni, il circuito dei night club e quello delle arti teatrali, in sale da concerto e teatri, radio televisione ecc.

Ovviamente bisogna porre dei distinguo per non confondere la situazione egiziana con quella occidentale. La chiara divisione occidentale fra la tradizione classica estremamente elevata e la tradizione popolare al polo opposto non si applica al mondo arabo.

Chi lavora in un teatro gode di maggiore stima di chi lavora in un night club o alle feste di paese, ma a volte il repertorio musicale che viene suonato in queste tre occasioni è identico: le stesse canzoni famose di Umm Kulthum o di Mohammad Abd Al Wahab si possono udire alla radio, nei matrimoni, nei night club e nei teatri.

 

Benché molti brani del Corano e degli Hadith (i detti del Profeta) neghino la legittimità della musica e del canto, questi “piaceri proibiti” prosperarono comunque da sempre nelle corti.

Storicamente si considerava ammissibile la musica prodotta dal canto degli uccelli, si accettava il canto in particolari condizioni ma la strumentale veniva proibita in campo religioso poiché si pensava che incoraggiasse il bere e si addicesse alla gente dissoluta.

 

Secondo l’etnomusicologo Al Faruqi, l’opinione religiosa generò una gerarchia di musica e canto: forme vietate, non incoraggiate, indifferenti, raccomandate e raccomandabili. La recitazione del Corano sta all’apice di questa gerarchia di accettabilità, immediatamente seguita dal richiamo alla preghiera e dai canti religiosi. Legittimità avevano anche canti collegati a celebrazioni familiari, o i canti delle carovane, i canti di lavoro e la musica delle bande militari. In fondo alla lista troviamo “la musica sensuale che viene suonata in associazione con attività condannate, o che si ritiene possa incitare a pratiche proibite come il consumo di droghe e di alcol, lussuria, prostituzione, ecc.”. Questo genere musicale è chiaramente proibito, o come si dice in arabo “haram”.

Secondo lo studioso dell’XI secolo Imam Al Ghazali, se si dedica troppo tempo alla performance, si interferisce con i più alti scopi dell’Islam, distraendo il credente dall’attenzione alla devozione per Dio: i professionisti erano perciò meno accettabili dei semplici dilettanti.

La danza viene valutata solo marginalmente nei testi dei filosofi e pensatori arabi: in epoca medievale veniva considerata fra gli strumenti a percussione o in relazione all’estasi. Se l’estasi soverchia la volontà e conduce l’uomo a muoversi al di fuori della sua volontà, tutto è scusabile (da tenere presenti sono le varie manifestazioni di danze estatiche presenti nel mondo arabo legate ai contesti religiosi). Quando la persona ritorna in possesso della sua volontà, lo stare fermi ed il contenersi sono preferibili. In generale “se il piacere che genera la danza è lodevole, e la danza lo accresce e lo fortifica, allora la danza è lodevole… ” (Al Ghazali, 1902).

Anche se la differenza fra i sessi non è stata molto studiata rispetto all’accettabilità degli artisti, è sicuramente un fattore di primaria importanza.

Un noto Hadith, spesso citato per screditare le cantanti è “sawt al mar’a ‘awra” “la voce della donna è una cosa vergognosa”. Imam Al Ghazali lo spiega così: la musica è permessa quando non è un possibile mezzo per indurre in tentazione. La voce, soprattutto di una donna, può sedurre gli ascoltatori: se c’è tentazione la musica è proibita.

L’eccitazione causata dalla vista della donna è considerata più forte di quella causata dal suo ascolto. Le musiciste vengono solo ascoltate, le cantanti ascoltate ma anche guardate, ma le danzatrici non possono che essere guardate, per cui la danza è la più vergognosa fra le forme d’arte.

Comunque se la danza viene eseguita per sole donne ed in un tempo e luogo accettabile, e con un pubblico morigerato, è probabilmente permessa. Soprattutto per le donne parecchi contesti e forme di spettacolo sono proibiti, e non soltanto dai filosofi antichi.

Vari studiosi religiosi indicano che Dio non è contrario al piacere, ma il piacere non deve essere vissuto in circostanze immorali o con compagni dissoluti. Il contenuto delle canzoni non deve andare contro la morale e gli insegnamenti islamici. L’esagerazione non è mai auspicabile, e tanto meno lo è in uno spettacolo, per cui chi sa di venire troppo coinvolto dagli spettacoli è meglio che non vi prenda parte.

 

Bibliografia:

 

“A Trade Like Any Other” di Karin van Niewkerk, University of Texas Press, 1995

“Baladi Women of Cairo” di Evelyn A Early

 

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Musica e musicalità nella “recitazione” del Corano e nella preghiera musulmana https://danzaemusicaaraba.com/musica-e-musicalita-nella-recitazione-del-corano-e-nella-preghiera-musulmana/ Tue, 27 Mar 2018 16:36:12 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=110 Musica e musicalità nella “recitazione” del Corano e nella preghiera musulmana E’ molto difficile se non impossibile tracciare un confine fra l’essere o non essere musica in materia di declamazione o recitazione, dove massimo...

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Musica e musicalità nella “recitazione” del Corano e nella preghiera musulmana

E’ molto difficile se non impossibile tracciare un confine fra l’essere o non essere musica in materia di declamazione o recitazione, dove massimo è l’impegno vocale, con enorme partecipazione del cuore e della mente come quando i musulmani leggono il Libro Santo. L’effetto che la salmodia del Corano ha sull’uditorio arabo è incredibile: commozione, sospiri, esclamazioni… La declamazione si impara per tradizione orale, studiando i testi che ne raccontano la storia e la teoria.

Il Corano è la summa delle rivelazioni fatte per volere di Dio dall’angelo (e non arcangelo) Gabriele a Maometto. Consta di 114 sure suddivise in aya’s, versetti. L’ordine delle sure, capitoli, è cronologico, e più o meno la loro lunghezza decresce, eccezion fatta per la prima sura, la “sura aprente” (Fatiha), che è di soli 7 versetti. Parte delle sure furono rivelate a Mecca, città natale di Maometto. Altre gli furono poi rivelate a Yatrib, Medina. Le sure si distinguono quindi in “medinesi” e “meccane”. Ogni sura ha un titolo generalmente affiancato dall’aggettivo relativo al luogo in cui è avvenuta la rivelazione.

Citiamo la Fatiha, che è professione di fede, e viene sempre recitata con modulazioni ed espressioni musicali profonde.

1 Nel nome di Dio clemente e misericordioso!

2 Sia lode a Dio, il Signore del Creato

3 il Clemente, il Misericordioso,

4 il Padrone del dì del Giudizio!;

5 Te noi adoriamo, te invochiamo in aiuto:

6 Guidaci per la retta via,

7 la via di coloro sui quali tu hai effuso la Tua grazia, la via dio coloro coi quali non sei adirato, la via di quelli che non vagolano nell’errore!

Il recitante deve fare molta attenzione all’intelligibilità delle parole, rispondendo a requisiti di gusto ai quali tutti sono educati fin dall’infanzia. Nella lettura bisogna rispettare dei segni nel testo, che indicano accenti, cesure, legature, conferendo alla lettura una maggiore forza nel coinvolgere emotivamente l’uditorio.

Come nel Cristianesimo medievale, nell’Islam si studia il canto ma non la musica strumentale, giudicata profana, poiché svia l’attenzione dei fedeli dal culto. Il richiamo alla preghiera non ha base ritmica, cosa che lo rende più forte. Il muezzin lo proclama cinque volte al giorno verso i 4 punti cardinali.

Soprattutto per le celebrazioni del venerdì, è necessario che la voce dell’officiante abbia certe caratteristiche estetiche che presuppongono un certo studio. Deve essere forte e gradevole, ed avere musicalità toccante.

Ecco il testo del richiamo alla preghiera (Adhan)

Allah è grande!

Non esiste altro Dio che Allah!

E Muhammad è il suo Profeta!

Venite alla preghiera!

Venite alla salvezza eterna!

Allah è grande!

Non esiste altro Dio che Allah!

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La musica araba all’avvento dell’Islam

La gente del deserto ha salvato attraverso la tradizione orale le usanze musicali del deserto. Non esistono nei testi antichi prove dell’esistenza della musica araba anteriori al VI secolo.

I frequenti contatti con altre culture che permearono la vita degli arabi di città furono sempre filtrati dall'”esclusivismo arabo”, che permise di assorbire soltanto ciò che poteva arricchire ma non modificare la struttura della musica araba, fortemente legata alla poesia ed alla lingua.

L’iniziale condanna religiosa della musica e la sua successiva riabilitazione diedero luogo ad una serie di studi e ricerche nel campo della storia e della tecnica musicale, con un interesse per la civiltà musicali del passato. In tal modo furono riportati alla luce i fondamenti della musica greca, mentre le culture musicali dei popoli che l’Islam andava assoggettando entravano ad arricchire il patrimonio musicale arabo.

Le notizie più antiche sulla tecnica e sulla teoria musicale araba risalgono alla seconda metà del secolo VIII, epoca in cui visse Zalzal Mansur Ben Djafar, morto nel 791, virtuoso liutista persiano, zio e maestro del celebre Ishaq al Mausili (767- 850). Per primo Zalzal formalizzò l’esistenza di un intervallo di 3/4 di tono, al terzo ed al settimo grado della scala del modo Rast: Do, Re, Mi meno 1/4 di tono (o Mi semibemolle), Fa, Sol, La, Si meno 1/4 di tono (o Si semibemolle), Do. Gli intervalli risultano quindi: 1 tono, 1 tono, 3/4 di tono, 3/4 di tono, 1 Tono, 1 Tono, 3/4 di tono, 3/4 di tono. Questo intervallo è stato chiamato “terza neutra di Zalzal”. E’ per noi difficile, essendo condizionati dal sistema tonale, cantare la terza neutra, poiché siamo stati educati a “sentire” i modi maggiore e minore, e questi esercitano su di noi un forte richiamo.

La scala Rast ha una importanza fondamentale nella musica araba, poiché, come evidenzia D’Erlanger, autore dell’enciclopedia “La musique arabe”, la musica araba si svolge prevalentemente sulla “gamma fondamentale”, cioè sulle due ottave che di solito sono coperte dalla estensione della voce umana. La scala Rast si trova esattamente nel centro di questa “gamma fondamentale” (la gamma va dal Sol sotto il Do centrale del pianoforte al Sol di due ottave più acuto, mentre la scala di Rast va dal Do centrale al Do superiore). Rast significa in persiano “normale” o “regolare”. Tutto questo ci indica quanto la scala Rast sia da considerare come la scala di base, un po’ come quella di Do maggiore per la musica occidentale.

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Shaabi, la musica del popolo egiziano https://danzaemusicaaraba.com/shaabi-la-musica-del-popolo-egiziano/ Tue, 27 Mar 2018 16:32:36 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=105 Shaabi, la musica del popolo egiziano Nel cuore dell’Alto Egitto, il Sa’id da Luxor ad Aswan ed i villaggi vicini, vivono le famiglie tribali di artisti musicisti di maggiore talento. I musicisti leader, “el...

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Shaabi, la musica del popolo egiziano

Nel cuore dell’Alto Egitto, il Sa’id da Luxor ad Aswan ed i villaggi vicini, vivono le famiglie tribali di artisti musicisti di maggiore talento. I musicisti leader, “el rais” (1) Metqal Qenawi Metqal ed “el rais” Mohamed Mourad el Metqali (quello di Metqal n.d.t.), sono membri della gloriosa tribù o clan dei “Mataquil”. Esperti nell’arte della rababah (2) e nello “shiir” (3), i Mataquil sono un’antica famiglia legata ad una tribù simile in Siria, che ha le stesse qualità musicali. I Mataquil si sono sposati con famiglie nubiane dell’Alto Egitto, e costituiscono una parte integrante della comunità Fallahi-Sa’idi. Anche gli Zummarin, o bande di mizmar rivendicano di essere parenti alle tribù arabe originarie dell’Hidjjaz, in Arabia. Maestri di mizmar (4) vengono da città come Banajua, Garagos, Sohaj, Quena, Aswan, così come gli eccezionali suonatori di tablah baladi (5). Alcuni di questi maestri di mizmar e di tablah baladi sono “el rais” Hanafi el Benjawi (di Banajua n.d.t.) Abu Heraji, Mohammad Abbas el Sohaji (di Sohaj n.d.t.), Qenawi Badhit Qenawi. Il mondo conosce oggi questi musicisti sotto il nome di Musicisti del Nilo, il gruppo che ha inciso la sua musica e che ha compiuto tour internazionali sotto la direzione del francese Alain Weber, fin dai primi anni ’70. In questi difficili tempi di rapidi cambiamenti durante i quali la musica di qualità è stata rapidamente rovinata, Alain Weber, attraverso il suo lavoro con questi musicisti, è stato in grado di preservare e sostenere l’autenticità e l’eccezionale qualità della musica Sa’idi.

Metal Qenawi Metal, che è diventato famoso negli anni ‘70b anche al Cairo, era molto noto per il suo meraviglioso modo di suonare la rarabah e di cantare. Era un fenomeno inusuale, poiché cantanti Sha’abi di così pura tradizione non divengono solitamente idoli popolari. Si trasferì al Cairo dal Sa’id, ma rimase un membro di punta dei Musicisti del Nilo.

L’identità di ciascuna famiglia di musicisti del Sa’id è legata ad una particolare tribù leggendaria nella storia. Infatti, la comunità di Fellahin dell’Alto Egitto consiste di famiglie che si sono specializzate in particolari attività basate su una eredità ancestrale: sono mandriani, coltivatori, produttori di latticini, fabbri e tessitori di tappeti, e sono comprese anche famiglie che si specializzano nelle arti della musica e della danza. Benché non pienamente accettate dalla società, le famiglie di artisti sono spesso richieste per matrimoni, feste di nascita, circoncisioni e, soprattutto, festival che commemorano santi locali e profeti: i mawalid (6).

Il Moulid (7) è un evento nel quale gli artisti mostrano il loro talento in un’atmosfera sia di festa profana che di alta devozione. Il Moulid è inoltre importante scuola per giovani promesse, maschi e femmine, d per sviluppare le loro abilità e per crescere sotto la guida di maestri musicisti e cantanti all’interno della band. I più importanti Mawalid nel Sa’id sono quelli del santo Abul Hadjaj e il Moyulid el Nabi (8). La funzione degli artisti e dei musicisti nelle feste e celebrazioni Sa’idi non è solo quella di provvedere ad un intrattenimento; essi offrono inoltre consigli e saggezza con le loro poesie e canzoni, che sostiene la morale e i valori spirituali della comunità. Si può dire che la bellezza della loro musica, canzoni e danza solleva gli animi del fallah (9) e offre una tregua ad una vita altrimenti terra terra e dura.

I musicisti dell’Alto Egitto rappresentano una lunga genealogia di professionisti che hanno vissuto con abitudini tribali attraverso molti secoli della storia dell’Egitto. I loro avi devono aver vagato attraverso molte terre ed assorbito altre culture, ma gli odierni musicisti Sa’idi lavorano su una base musicale che si radica nel suolo d’Egitto. Tramandata oralmente in seno alla famiglia, la musica Sa’idi è testimonianza di una tradizione ricca e profonda che va oltre la solita classificazione di musica folkloristica. Consiste di elementi antichi che solo una lunga storia di conservazione può generare.

La struttura della musica Sa’idi è Araba, cosa che è logica conseguenza della storia dell’Alto Egitto, fatta di tribù nomadi e guerriere provenienti dall’Arabia. Come è stato sottolineato nella prima parte dell’articolo, le tribù arabe erano la presenza più influente in una terra che è rimasta isolata lungo la storia dell’Egitto, paese costantemente occupato. Non appare esserci una reale

Tangibile influenza della cultura Cristiano Bizantina o Copta nella musica Sa’idi. Comunque, Sembra altamente probabile, a giudicare dalla storia, che queste influenze siano a lungo state integrate negli antichi aspetti della musica oggi detta “Faraonica”.

Più tardi, gli Arabi portarono un linguaggio, una religione ed una struttura della musica che si fuse con la cultura rurale indigena dei Fallahin dell’Alto Egitto. Insieme con i beduini arabi venne la rababah, lo strumento di punta nella musica e nel canto Sa’idi, che si trova nella sua forma più rudimentale nella colta città preislamica di Hidjaz. Il Nashid (10), il Mawwaal (11), il Shi’ir, narrando di virtù di santi, profeti, guerrieri e della vita in generale, sono alcuni degli aspetti della musica Sa’idi di influenza Arabo beduina.

Oltre alle influenze arabo Beduine, la musica Sa’idi ha qualità arcaiche di terra che appartengono alle culture indigene Fallahin e Nubiana. Anche con queste forti radici, la musica Sa’idi ha un sapore moderno ed insieme senza tempo. E’ possibile che questa qualità sia attribuibile a diversi fattori.

Prima di tutto, i musicisti spesso definiscono certe composizioni o frasi come “Faraoniche”. Gli aspetti faraonici della musica paiono da relazionarsi con il modo in cui la musica viene suonata. Sia i suonatori di rababah che quelli di mizmar hanno un modo insolito di usare i brani tradizionali. Espandono le frasi, con l’uso di modulazioni e sfumature che tendono a dare alla musica un sapore astratto, di un altro mondo. Inoltre, il suonatore di Arghul (12) Mustafa Abdel Aziz spesso usa melodie arabe tradizionali, ma il ronzio del suo antico strumento ed il modo in cui lui combina le frasi musicali eleva le melodie a dimensioni astrette.

Secondariamente, i musicisti del Sa’id hanno abilità unicamente istintive, che paiono incoraggiarli a trasformare ed aggiornare continuamente la loro musica.Creano nuove melodie, frasi e composizioni attingendo non solo al vecchio repertorio Sa’idi, ma anche ad ispirazioni tratte dai loro viaggi e dalle esperienze di vita. Hanno una incrollabile fiducia e sicurezza nella loro conoscenza musicale e nella loro lingua che a loro volta permettono loro di essere più aperti a nuovi sviluppi. In altre parole, essi integrano continuamente nuova musica e la elaborano con successo nella struttura tradizionale. Pertanto si può notare come la musica Sa’idi sia una tradizione vivente e che avanza, insieme progressista e senza tempo.

Di Suraya Hilal © 2002

Note

  1. Rais: significa capo o leader nel senso di musicista conduttore.

  2. Rababah: il violino egiziano fatto con mezza noce di cocco ricoperta di pelle di pesce con un manico lungo e tubolare e due corde di crine di cavallo.

  3. Shi’ir: il poema arabo o la canzone poetica nei racconti epici popolari.

  4. Mizmar: uno strumento a fiato Egiziano, simile ad un oboe.

  5. Tablah Baladi: un ampio strumento a percussione con pelle su due lato che si suonano simultaneamente con la mano ed un piccolo bastone. Rimanda anche al gruppo di suonatori di Tablah Baladi che accompagna i suonatori di mizmar.

  6. Mawali: plurale di Moulid.

  7. Moulid: Festa di piazza egiziana per commemorare santi e profeti.

  8. Moulid el Nabi: la commemorazione della nascita del profeta Maometto.

  9. Fallah: contadino.

  10. Nashid: salmodia araba.

  11. Mawwal: improvvisazione solistica vocale nella musica araba.

  12. Arghoul: uno strumento tipo clarinetto a doppia canna che risale all’antico Egitto.

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Il congresso del Cairo del 1932 https://danzaemusicaaraba.com/il-congresso-del-cairo-del-1932/ Tue, 27 Mar 2018 16:25:31 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=102 Il congresso del Cairo (1932) “Concilio universale della musica araba” Per capirne il valore e gli intenti, sarà utile leggere il comunicato di indizione del Congresso e la lista degli invitati stranieri. Comunicato del...

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Il congresso del Cairo (1932) “Concilio universale della musica araba”

Per capirne il valore e gli intenti, sarà utile leggere il comunicato di indizione del Congresso e la lista degli invitati stranieri.

Comunicato del Comitato organizzativo del Congresso di musica araba

Degnandosi di inaugurare ufficialmente l’Istituto di Musica Orientale, il 26 Dicembre 1929, Sua Maestà il Re espresse l’augusta volontà di riunire in Egitto un Congresso al quale partecipassero i grandi musicologi d’Occidente che si occupino della musica araba e che studino tutte le questioni relative allo sviluppo di questa musica, al suo insegnamento, alla sua organizzazione su basi scientifiche e sicure, riconosciute dal mondo musicale.

Si procedette poi, sotto l’alto patronato e le auguste direzioni di Sua Maestà, ai lavori preparatori necessari per la riunione ed il successo del Congresso. Al momento del progetto di questi lavori, Sua Maestà il Re si degnò di compilare il 20 Gennaio 1932 un elenco che designa i membri del Comitato d’organizzazione del Congresso , nominando il Ministro della pubblica istruzione in qualità di presidente di questo Comitato. L’apertura dei lavori preparatori delle commissioni tecniche è stata fissata il 14 Marzo 1932; l’inaugurazione dei lavori ufficiali del Congresso è il 28 dello stesso mese.

I grandi studiosi occidentali che si occupano di musica araba hanno accettato l’invito a collaborare ai lavori del Congresso. Hanno accettato altresì di parteciparvi i paesi che vi hanno potuto delegare una selezione di artisti che rappresentino la musica strumentale e vocale per collaborare agli studi tecnici.

Le questioni principali da studiare al Congresso sono: l’organizzazione della musica araba su basi solide che derivino dalla scienza e dall’arte e che verranno adottate da tutti i paesi arabi; lo studio dei mezzi propri a favorire lo sviluppo della musica araba; stabilire la scala musicale; la fissazione dei caratteri musicali; l’organizzazione della composizione vocale e strumentale; lo studio delle proprietà degli strumenti musicali; l’organizzazione dell’insegnamento della musica; la registrazione di canti e melodie nazionali di tutti i paesi; la compilazione dell’elenco delle opere stampate o manoscritte sull’arte musicale.

Sette commissioni tecniche sono state formate per uno studio approfondito di queste questioni, che durerà due settimane. Ogni commissione presenterà poi il suo rapporto sulla problematiche il cui studio le sarà stato affidato.

Il Comitato d’organizzazione ha giudicato bene di aggiungere alle commissioni tecniche un certo numero di personalità eminenti dell’arte musicale in Egitto. Le diverse commissioni sono:

1) La Commissione delle questioni generali;

2) La Commissione dei modi, del ritmo e della composizione;

3) La Commissione della scala musicale, che deve essere stabilita e di cui devono essere segnate le note;

4) La Commissione degli strumenti;

5) La Commissione della registrazione musicale;

6) La Commissione dell’insegnamento della musica;

7) La Commissione della storia della musica e degli scritti che hanno trattato della musica.

Il Congresso sarà ufficialmente inaugurato il 28 Marzo 1932 con un discorso di Sua Eminenza il Ministro della pubblica istruzione. Comincerà, immediatamente dopo, i suoi lavori, che dureranno otto giorni durante i quali delibererà sui rapporti delle commissioni tecniche e prenderà una decisione su ciascun problema discusso.

Lo scopo di questo congresso è di fare, con dibattiti calmi e ponderati, uno studio minuzioso di questioni precise che permettano di stabilire delle regole scientifiche e tecniche destinate a reggere la musica araba.

Il Comitato organizzativo del Congresso accoglierà con piacere i suggerimenti che vorranno comunicargli i tecnici e gli specialisti, prima della data fissata per l’inizio dei lavori delle commissioni tecniche, cioè prima del 14 Marzo 1932, sulle questioni da sottoporre al Congresso e precisate in una brochure stampata, inviata a tutte le persone che ne faranno domanda al Segretariato del Congresso, Istituto di Musica Orientale, 22 Rue de la Reine Nazli, Il Cairo.

Il Comitato d’organizzazione del Congresso presenta i suoi vivi ringraziamenti ai Governi ed agli studiosi che hanno accettato di prendere parte ai lavori del Congresso e di aiutare il Governo a raggiungere lo scopo che si propone per questa manifestazione.

Ringrazia anche tutti gli egiziani che gli hanno portato il loro aiuto sia tramite consigli sia facendo parte delle commissioni o del Congresso.

Preghiamo Dio di assicurare i successo al Congresso, di dare lunga vita a Sua Maestà il Re, il Nostro Augusto Sovrano che veglia sulla rinascita ed il progresso del paese, in tutti i campi della sua attività, sotto il suo regno d’oro, così fecondo di grandi opere.

Ministero della pubblica istruzione

Congresso di musica araba

Sotto l’alto patronato di Sua Maestà il Re

Annesso VI

Nomi dei Signori Membri del Congresso che vengono dall’estero

Lista dei membri del Congresso che vengono dall’estero per ordine alfabetico dei nomi delle nazioni

Germania:

I Signori: Heinitz: dell’Università di Amburgo. Hindemith: dell’Accademia di musica di Berlino. Von Hornbostel: dell’Università di Berlino, direttore degli archivi fonografici. Lachmann: della Biblioteca Nazionale di Berlino. Sachs: dell’Università di Berlino, direttore del Museo degli strumenti musicali. Wolf: dell’Università di Berlino e direttore del dipartimento della musica alla biblioteca nazionale.

Austria:

Il signor Wellesz: dell’Università di Vienna.

Spagna:

Il signor Salazar: critico musicale.

Francia:

I signori: Il barone di Carra de Vaux: Orientalista arabista. Chantavoine: segretario generale del Conservatorio Nazionale di musica di Parigi. Chottin: del servizio delle arti indigene a Rabat. La signora Hercher Clément: dell’istituto di fonetica della Sorbona. La signora Lavergne: dell’istituto di fonetica della Sorbona. Rabaud: membro dell’Istituto, direttore del Conservatorio nazionale della musica. Stern: Archivista aggiunto del museo Giumet. Vuillermoz e signora: critichi d’arte musicale. Kadour Ben Ghabrit: Ministro plenipotenziario di Sua Maestà Chériffiana. Mohammed Ben Ghabrit: capo della delegazione marocchina. Prosper Ricard: capo del servizio delle Arti Indigene a Rabat. Hassan Abdel Ouahabg: Cadì governatore di Mahdia. Mohammed Ben Abdallah: consigliere Generale e Delegato finanziario di Tlemcen.

Gran Bretagna

Il signor Farmer dell’Università di Glasgow.

Ungheria

Il signor Bartok: Accademia musicale di Budapest.

Italia

I signori colonnello Pesenti: Orientalista. Zampieri: del Conservatorio di Milano.

Siria: Il signor Père Collangettes: dell’Università Saint- Joseph di Beirut.

Cecoslovacchia

I signori Haba ed il suo collaboratore: del Conservatorio di musica di Praga.

Turchia

I signori Raouf Yekta Bey: professore al Conservatorio di Istanbul. Massoud Djemil Bey: della Società di Istanbul.

La speranza del Congresso era principalmente quella di stabilire la scala musicale. Fortissima fu l’influenza della musica occidentale, favorita dal fascino che il diverso ha sempre sulle abitudini comuni della gente. Oggi però, con la fine del colonialismo, anche gli effetti della colonizzazione culturale si stanno attenuando, per cui si possono valutare meglio i risultati del Congresso.

Va tenuta presente la situazione della Turchia. La dominazione turca in Medio Oriente e nell’Africa mediterranea fu molto lunga. Rispetto alla cultura musicale, gli Ottomani avevano sempre avuto un grande prestigio, ed il contributo che il musicologo turco portò al Congresso fu il delineare le origini ellenistiche degli antichi trattati arabi.

Sotto Kemal Ataturk la nuova repubblica turca aveva riconquistato i propri confini, abolito la poligamia, separato il potere politico dalla religione, adottato l’alfabeto latino e riforme di stampo occidentale. L’alfabeto latino aveva la funzione di avvicinare la Turchia al mondo occidentale, ma riguardo alla musica le cose furono più libere: la Turchia prese spunto dall’organizzazione della musica in Occidente, delle teorie e del metodo di insegnamento, pur mantenendo le proprie radici saldamente legate alla tradizione orientale.

Prima del Congresso, un gruppo di intellettuali egiziani aveva fondato l’Istituto di Musica Orientale, il cui scopo principale era quello di ridurre l’influenza nefasta delle piccole scuole private che, insegnando la musica sulla falsa riga di quella europea, danneggiavano fortemente la musica araba. L’Istituto si assunse l’onere di stabilire e codificare elementi che fino ad allora erano sempre stati affidati alla trasmissione orale. La buona volontà attirò l’attenzione del re Fuad I (padre di Faruk), che elevò l’Istituto a Istituto Reale, appoggiando il Congresso.

Una delle questioni più spinose di cui si occupò l’Istituto fu quella della scala fondamentale. I pareri erano totalmente discordanti, e fu istituita una sottocommissione che, invece di misurare con un sonometro l’altezza delle varie note effettivamente suonate dai musicisti, preferì far loro ascoltare i vari gradi della scala preparata dal musicologo Amin ad Dik, registrando le loro opinioni sull’altezza di ogni nota. Evidentemente questo sistema era talmente soggettivo da non poter dar luogo ad una scala valida per tutti.

In realtà non fu possibile creare una scala perché tutti sapevano, profondamente che sarebbe stato un grave limite incasellare la musica araba in modelli prestabiliti, e forse questo fu utile per far capire a tutti più chiaramente la necessità di ritrovare un nuovo sviluppo sulla base della tradizione.

Riferimento bibliografico:

La musica araba nell’ambiente e nella storia di Pietro Righini

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Musica Araba colta https://danzaemusicaaraba.com/musica-araba-colta/ Tue, 27 Mar 2018 15:55:05 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=100 La musica Araba colta La musica nella cultura araba L’Egitto costituisce il cuore del mondo arabo-musulmano, del quale è stato sempre centro di irraggiamento artistico e intellettuale a partire dal secolo XI. Crocevia fra...

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La musica Araba colta

La musica nella cultura araba

L’Egitto costituisce il cuore del mondo arabo-musulmano, del quale è stato sempre centro di irraggiamento artistico e intellettuale a partire dal secolo XI.

Crocevia fra la cultura africana, quella araba e quella mediterranea, la musica dell’Egitto si è definita in vari stili e repertori determinati dalle esigenze della vita quotidiana, soprattutto differenziandosi fra città, soprattutto il Cairo, e campagne, con differenze ulteriori in Nubia e presso i beduini delle oasi.

La tradizione musicale egiziana segue la linea monodica, modale e di tradizione orale della musica araba. Prevede una grande varietà di emissioni di timbri e voci, in cui l’improvvisazione gioca un ruolo fondamentale.

 

Musica classica colta in Egitto

Si sviluppò molto soprattutto sotto i Fatimiti (969-171) e gli Ayubiti (1171-1250), ed i primi Mamelucchi.

I califfi se ne deliziavano e la protesero molto. Con la conquista turca del paese ad opera di Selim I (intorno al 1516-17) il mondo arabo divenne provincia ottomana, e l’attività artistica decadde in uno stato di stagnazione che si risolse solo nel secolo XIX con la Nahda, il nuovo Rinascimento, che nacque dal confronto con l’occidente industriale e dalla spinta generale a liberarsi socialmente.

Il rinnovamento si espresse nel trovare uno stile musicale proprio, al di là del semplice essere confluenza fra Maghreb-aAndalusia e Oriente. Abili musicisti favorirono questo movimento, come Abdu al Hamuli (1841-1901), rivoluzionarono le antiche forme di Muashshah, Qasida ecc, creando nuove forme come il Dawr o altre di ispirazione turca, come il Bashraf vocale e strumentale.

Agli inizi del ‘900 grandi musicisti valorizzarono e rinnovarono la tradizione creando nuove forme vocali e strumentali, nutrite dal sentimento nazionale nascente e dal trionfo del canto lirico.

Verso il 1925 in Egitto c’erano decine di compagnie di teatro comico e tragico, commedia musicale, operetta… Prezioso fu allora il contributo di Sayyid Darwish, che rese la musica libera dal conformismo precedente, attingendo dal folklore e parlando nei testi poetici di temi popolari, creò un legame fra le parole e l’espressione degli stati d’animo. La sua musica accomunava tutti gli strati sociali e le età, esprimendo i sentimenti di tutta una società, per cui fu adorato, e lo è ancora.

La grande attività culturale teatrale dell’inizio del ‘900 si protrasse fino agli anni ’40.

Nel 1932 il Primo Congresso di Musica araba.

La comparsa del cinema sonoro (1935), della radio (1934) e del disco (1904), l’insegnamento nei conservatori assecondo metodi europei si manifestò una tendenza filo-occidentale che ridusse la produzione culturale a una vasta impresa commerciale, spingendo i musicisti verso la facilità, l’imbastardimento e lo spirito da vedette.

Anche i grandi artisti, come Um Kulthoum, Abdel Wahhab, Riadh al Sunbati, Farid el Atrache, che erano stati fedeli continuatori della tradizione, finirono per cedere alle lusinghe della moda, adattandosi alle sonorità delle orchestre europee, e della musica occidentale in senso lato. Ma molti di più furono gli artisti mediocri che guardarono solo al soldo e la grande diffusione della loro musica, favorita da cinema, Radio, disco e poi TV, imbastardì la musica in tutto il mondo arabo.

 

Wasla (Waslat al plurale)=concerto egiziano

Erano 22, e prendevano il nome dal maqam principale, e si svolge secondo una serie di brani vocali e strumentali (nawba), che di solito comprende:

1) Bashraf, ouverture strumentale, con 4 parti diverse di ugual misura e un ritornello (taslim) che si ripete dopo ogni parte., con cicli ritmici lunghi

2) Una serie di Muashshahat nello stesso maqam con ritmi vari che vanno dal più lento al più vivace. Poesia post classica di origfine andalusa omonima che combina sillabe accentate e non

3) Un samai, ouverture della seconda parte della wasla. Deriva dal bashraf, e si compone, come questo di 4 parti diverse intervallate da un taslim, con un ritmo di 10/8 intervallato , prima dell’ultimo ritornello, con una strofa di ¾ o 6/8 o 6/4 4) Improvvisazione vocale o strumentale (layali, mawwal e taqsim)

5) Dawr, si basa come il zajal andaluso su poesia strofica in quartine e in lingua dialettale. Alterna un solista che canta la strofa (ghusn) con il ritornello dell’insieme (madhhab)

6) Qasida adattamento musicale di versi poetici classici a metro fisso. All’inizio era improvvisata su ritmo wahda, poi è stata studiata e perfezionata

Taqtuqa=canzone leggera

Deriva dal dawr cui somiglia. Eseguita un tempo unicamente dalle awalim, cantanti e artiste professioniste, il cui complesso è costituito da alima, ra’isa e ‘usta e 7 accompagnatrici: un riqq, un tar (tamburo grande), 3 tabla, ud, a volte suonato da un uomo, cieco, e una raqisa, danzatrice. Il complesso era molto ricercato e si esibiva al riparo dagli sguardi maschili dietro una tenda o una finestra. Le melodie semplici e piacevoli e i ritmi vivaci davano alla taqtuqa larga popolarità

Tahmila

E’ un brano strumentale fisso su ritmo wahda basita. Viene intercalata da improvvisazioni eseguite dai vari strumentisti a turno

Dulab

Ouverture strumentale fissa eseguita all’inizio della wasla o del Dawr Longa, pezzo strumentale che viene eseguito alla fien delle suites. Somiglia al bashraf ma ha tempo rapido e vivace e ritmo binario. Al repertorio classico di cui sopra, si sono aggiunti nuovi generi, dalla fine dell’800: musica da danza, musica descrittiva, canzoni derivate dall’arte lirica, a monologo e dialogo, canzoni di varietà…

Takht

E’ il complesso tradizionale di 6/10 strumenti: ud, kamanga, qanun, nay, daff, mughanni o mutrib e un coro (alatiyya, plurale di alati)

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Teoria musicale araba e danza https://danzaemusicaaraba.com/teoria-musicale-araba-e-danza/ Tue, 27 Mar 2018 15:49:47 +0000 http://danzaemusicaaraba.com/?p=98 Teoria musicale araba e danza Per prima cosa occorre ricordare che il mondo arabo è parecchio esteso, e che quindi sarà importante compiere una definizione di aree geografche di riferimento (per “mondo arabo” si...

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Teoria musicale araba e danza

Per prima cosa occorre ricordare che il mondo arabo è parecchio esteso, e che quindi sarà importante compiere una definizione di aree geografche di riferimento (per “mondo arabo” si intendono i paesi arabofoni, al di là delle differenze etniche o religiose).

Altro elemento importante è di certo il tipo di ambiente musicale a cui si fa riferimento: anche in una stessa zona geografica ci sono differenze fra la musica colta e la musica popolare, e fra la musica di tradizione antica e quella moderna.

La musica e la danza popolare sono ancora vivi ed amati nelle varie regioni del mondo arabo anche se la globalizzazione sta inesorabilmente livellando tutte le manifestazioni artistiche su un unico piano omogeneo. Danza popolare rurale (Sha’abi) egiziana e musica di tradizione rurale Sha’abi egiziana sono un ricco patrimonio da salvaguardare.

Il fenomeno musicale era molto diverso da ciò che è oggi alle origini della sua storia.

Dopo l’invasione Ottomana, la musica colta ha subito ovunque una grossa influenza Turca e Mediorientale: i governatori ottomani del Medio Oriente inviavano ad Istanbul i loro musicisti di corte affinché imparassero le melodie ed i ritmi turchi e li potessero quindi riprodurre a corte, per cui la musica colta di vari paesi arabi è molto più omogenea di quella popolare in termini di scale musicali, ritmi, strumenti.

Un fattore importante per l’apprezzamento del fenomeno musica e danza nel mondo arabo è la considerazione morale che la società medio orientale ha di queste forme d’arte.

Distinguere un buon musicista arabo è spesso difficile per un orecchio non allenato: occorre infatti conoscere alcuni elementi fondamentali e soprattutto crearsi una familiarità con la musica araba attraverso l’ascolto.

Dopo il colonialismo vi è stata la tendenza ad apprezzare tutto ciò che era autoctono in contrapposizione con la cultura occidentale, perciò la musica e la danza araba ebbero una buona diffusione. Vennero aperti diversi conservatori di musica -una vera rivoluzione nel sistema musicale arabo, basato sulla tradizione orale- dedicati solo alla musica colta, poiché vennero creati su imitazione dei conservatori occidentali. Nel 1932 si fece un importante congresso dedicato alla definizione della musica araba al Cairo.

Scuole musicali

Possiamo riconoscere diverse scuole musicali fondamentali:

1 – Scuola Mediorientale: Egitto, Siria, Giordania, Libano, Palestina. L’Egitto ha da sempre svolto un ruolo di leadership musicale nei confronti degli altri paesi, favorito soprattutto dalla sua industria cinematografica: dagli anni ’50 la sua ricca produzione di film musicali ha portato la musica e la danza dell’Egitto in tutto il mondo arabo.

2 – Scuola Maghrebina: Marocco, Algeria, Tunisia e Libia. La zona del Nord Africa ha dal punto di vista musicale e della danza due grosse radici: quella della tradizione locale berbera e quella della scuola arabo andalusa, che è l’eredità artistica della presenza araba in Andalusia.

3 -Scuola Iraqena

4 – Scuola del Golfo: Arabia Saudita, Bahrein, E.A.U, Kuwait, Qatar, Oman e Yemen. In questi paesi la tradizione musicale è molto legata alle origini culturali popolari: fino a pochi anni fa, pochi in termini storici, prima della rivoluzioneeconomica che il petrolio ha generato nella zona, in questi paesi la popolazione si dedicava a pesca, pastorizia, artigianato e questo influenzava la produzione musicale.

5 – Scuola arabo-africana: Sudan, la regione più meridionale dell’Egitto, la Nubia e Mauritania. In queste regioni la musica è fortissimamente influenzata dalle sonorità africane.

L’avvento di disco, cinema, televisione

L’entrata in scena dell’industria cinematografica e discografica ha completamente stravolto la produzione musicale e la danza araba: diversamente da come era sempre stato, anche i gusti musicali della gente comune potevano arricchirsi di elementi provenienti dalla radio, dal cinema e dalla televisione, apprendendo formule e modi di regioni molto distanti, mentre prima tutto faceva riferimento al circolo familiare e alla zona d’origine.

Persino il mezzo stesso dell’antico cilindro di cera e dei primi dischi a 78 giri fornirono grosse limitazioni alla musica: le incisioni potevano durare solo 3 minuti, quindi il musicista non poteva certo esprimersi liberamente, dovendosi attenere ad una tempistica tanto veloce. In realtà la limitazione del tempo è contraria allo spitiro improvvisativo ed espressivo che sta alla base della musica araba.

DIscorso molto simile si può fare per la danza egiziana: nei film gli attori erano cantanti e danzatori, e la produzione cinematografica egiziana è molto simile ai film americani degli anni di Fred Astaire e Ginger Rogers. I contributi della danza avevano il ruolo di alleggerire il clima e di divertire il pubblico, per cui a chi danzava veniva richiesto di modificare in tal senso la propria arte: oggi abbiamo motlissimi esempi di queto modo di danzare, ma nessuna testimonianza di come queste persone danzassero quando potevano esprimere la loro sensibilità artistica liberamente, al di fuori dagli schermi del cinema.

Inoltre con l’epoca della radio e della televisione stimoli occidentali sia di musica che id danza invasero il mondo arabo mdificandone profondamente i gusti e le abitudini.

Caratteristiche della musica araba

1 – Nella musica araba non esistono le note temperate (cioé costruite su precise lunghezze d’onda stabilite a priori, nonostante gli studiosi abbiano a lungo cercato di definire in qualche modo delle regole teoriche): gli intervalli fra le note sono irrazionali, e vengono influenzato dalla sensibilità creativa del musicista.

2 – La musica araba è monodica: tutti gli strumenti producono la stessa melodia insieme, a differenza di quanto accade in un coro o in un’orchestra occidentale, in cui invece le varie melodie prodotte dai vari strumenti sono diverse fra loro e sono regolate dalle leggi dell’armonia musicale. Unica eccezione, la possbilità che altri strumenti tengano la nota di base della scala, producendo un basso continuo, durante un solo improvvisato (Taqsim).

3 – La musica araba è modale e si basa sul concetto di maqam: più che una scala il Maqam è un fenomeno musicale entro il quale si muove la composizione, e che porta con sé forti contenuti emotivi.

4 – La musica araba si basa, un po’ come il jazz, sull’improvvisazione, e questo fatto porta con sé la grande importanza data alla comunicazione fra gli artisti e quindi la necessità di far ricorso enormemente al bagaglio di esperienza ed alla sensibilità personale.

5 – L’importanza della recitazione del Corano nello sviluppo della gusto musicale e della musicalità araba è fondamentale e non trascurabile.

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