L’orientalismo come Moda, danza e cinema

L’Orientalismo come moda

Le “Mille e una notte” e l’Orientalismo

Mille e una notte

Quadro orientalista

La prima traduzione delle “Mille e una notte” in una lingua occidentale, il francese, fu quella del 1704, ad opera del francese Antoine Galland, in versione censurata. Non appena pubblicata, l’opera si impose all’immaginazione dei lettori.

I personaggi dei racconti vengono mitizzati, anche perché poche sono le persone che ne hanno una conoscenza diretta: più che altro, infatti, se ne diffonde la fama, più che la lettura di prima mano. Quindi ne viene accentuato ogni aspetto di esotismo, erotismo, amore e violenza, trascurandone del tutto il carattere spirituale dei racconti, che invece nell’opera è quello saliente. L’immagine che ne nascerà diventerà indelebile nell‘opinione pubblica generale.

Ecco l’Oriente poetico, erotico e brutale, che generò la serie dei clichés del repertorio orientalista: i califfi, i visir, le odalische, gli eunuchi….

L’orientalismo e la moda aristocratica in Francia

Nel 1714 l’ambasciatore di Francia Charles Ferriol pubblicò una raccolta di incisioni che divenne la più influente per quanto riguarda le conoscenze sui costumi ottomani, tratta più che altro dai quadri di Jean Baptiste Van Mour. Van Mour viveva a Costantinopoli, e là operava ritraendo i signori occidentali abbigliati in costume orientale.

Molti viaggiatori e diplomatici occidentali portarono i costumi orientali in Europa, dove dapprima cominciarono a diffondersi grazie alla moda dei balli mascherati e poi influenzarono la moda. Insieme agli abiti si diffusero anche i racconti pieni di fascino dei leggendari splendori dell’Impero Ottomano della Sublime Porta.

Per secoli si vagheggiava sul Grande Serraglio, l’Harem del palazzo turco, che oltre a tutto rimaneva inviolato, per cui nessuno ne poteva avere una conoscenza diretta.

Le “turcherie” ebbero successo a Parigi, tanto da influenzare la moda, il teatro, l’opera, il romanzo sentimentale e la pittura. Moltissimi pittori francesi furono influenzati dallo stile turchesco, senza tuttavia essersi mai recati in Medio Oriente.

Il pittore Jacques Aved divenne famoso per il ritratto di un ambasciatore turco, del 1772, e divenne di gran moda fra gli aristocratici farsene ritrarre in costume orientale.

Ovviamente in questi quadri i costumi e gli accessori erano orientali, ma l’architettura di contorno era neoclassica.

La commedia “Le tre sultane” di Favart ebbe nel 1761 un notevole successo, ispirando l’opera di artisti come Jean Etienne Liotard, che viaggiò davvero in oriente, e visse per un periodo a Costantinopoli, ed Honoré Fragonard.

A fine 700 Maria Antonietta e le sue cortigiane portavano vestiti “alla sultana” e pellicce “alla levantina”, mostrando quanto le turcherie, pur essendo un po’ tramontate in quasi tutti i campi, sopravvivessero come non mai in quello della moda.

Durante la campagna d’Egitto di Napoleone, nel 1802, si diffuse a Parigi la moda delle tuniche “alla mamelucca”, dei turbanti e dei tessuti d’arredamento a motivi orientali.

… e in Inghilterra

In Inghilterra la moda dei ritratti turcheschi ebbe successo per tutto l’800, anche grazie ai balli mascherati, che vi godevano di una forte popolarità, fenomeno che era altrettanto fiorente anche in Francia ed in Italia. Il ricordo di queste a volte leggendarie ed incredibili feste veniva spesso affidato a dipinti ed incisioni commissionate personalmente dai vari signori agli artisti.

Lady Mary Wortley Montagu viaggiò con il marito a Costantinopoli nel 1716, in missione diplomatica, per due anni, e adottò gli abiti orientali, attratta più dalla novità che dalla comodità. Al suo ritorno a Londra, influenzò la moda, e le donne dell’alta società, ma anche alcune cortigiane si fecero ritrarre in costumi originali turchi. Questo avveniva anche senza una passione per l’Oriente, del quale non si conosceva nulla, ma per moda e perché questo dava ai ricchi l’occasione di dare sfoggio delle proprie ricchezze materiali e alle donne della loro avvenenza fisica.

In Inghilterra la moda non fu influenzata dalle turcherie quanto in Francia, ma comunque entrarono nell’uso caftani aderenti, imbottiture, spille di pietre e turbanti, tutti modificati a seconda delle esigenze della moda del momento. Ma la cintura tempestata di pietre che accentua la curva dei fianchi e la rotondità dell’addome, tratto autentico degli abiti turchi femminili, è stata sempre considerata poco conveniente. Anche i pantaloni a sbuffo non divennero di moda, e furono accettati soltanto durante le feste mascherate.

I viaggi

La visione occidentale del mondo Orientale

Mille e una notte

Quando all’inizio del secolo XIX il numero dei viaggiatori in Oriente si moltiplicò, per cui cominciarono a circolare troppe informazioni di prima mano perché le turcherie fossero ancora credibili, la moda orientalista cominciò a calare. Fino ad allora, più che altro si conosceva la Turchia, per cui la comparsa di informazioni su altri paesi del Medio Oriente spesso fece cadere dei miti. Gérard de Nerval scrisse a Théophile Gautier che ben presto non ci sarebbero più stati luoghi dove potesse trovare un rifugio per i suoi sogni: per chi non ha viaggiato, un loto rimane pur sempre un loto, mentre per chi ha viaggiato un loto è una sorta di cipolla.

Ciononostante, molti artisti continuarono a permeare l’Oriente del loro personale alone romantico.

Lo scontro con la realtà non riesce a distruggere il mito

Quando la moda degli abiti orientali declinò, si perse anche quella dei ritratti di stile orientale.

Alla fine del secolo XIX gli abiti e le usanze dei paesi orientali furono in enorme misura influenzati dall’Occidente, privando l’Oriente di una buona parte del suo fascino romantico.

Ancora una volta furono le “Mille e una notte” a rilanciare l’interesse per l’Oriente. Comparvero a fine 800 nuove traduzioni non censurate dell’opera, la prima delle quali, saggia e poco ispirata, di Edward Lane, nel 1838-40, seguita da quella vigorosa e brillante di Richard Burton, nel 1885, ricca di note eccezionalmente dettagliate e precise.

Ma ad avere un successo-bomba fu la traduzione di Joseph Charles Mardrus, pubblicata in sedici volumi dal 1899 al 1904, fu illustrata da Léon Carréin Francia e da Edmund Dulac in Inghilterra. Ambedue i pittori si ispirarono alle miniature islamiche ed indiane, all’arte tibetana e giapponese. Le illustrazioni mostrano belle eroine agili e delicate.

Mardrus da bambino aveva appreso tutte le credenze, i costumi, le superstizioni della gente della vecchia Cairo da Aisha, la schiava di famiglia. Questa insolita educazione lo aiutò più tardi a dare maggior ricchezza alle traduzioni dei testi arabi.

Il balletto Shéhérazade

Fra tutte le opere, gli spettacoli, le commedie ed i film ispirati dalle “Mille e una notte”, enorme fu l’influenza del balletto Shéhérazade, presentato a Parigi da Diaghilev nel 1910. Decorazioni e costumi, opera di Léon Bakst, ebbero grando successo, con le loro combinazioni di colori violenti: smeraldo e arancione, blu e geranio, vermiglio e rosa furono una rivelazione per il pubblico, abituato a tenui toni pastello. L’argomento di quest’opera è un po’ forzato. Le donne dell’harem, approfittando della supposta assenza del loro padrone, il re Shahriar (che è alla ricerca della prova dell’infedeltà della sua favorita), si abbandonano ad un’orgia con gli schiavi neri. La storia termina in una vendetta bagnata di sangue. Il pubblico fu scioccato, ma trovò modo di assecondare il proprio codice morale grazie alla vendetta contro i colpevoli.

I costumi di Bakst tradiscono le ossessioni erotiche di un misogino incapace di stabilire una relazione con una donna. Non si trattava infatti soltanto di una esibizione di seni, di cosce e di ventri visibili grazie alle parti più aderenti dei costumi, ma anche di un erotismo espresso attraverso le posizioni stesse dei corpi, di una estrema aggressività.

Erano fortemente innovativi, con i loro colori squillanti, in contrasto con quelli tenui e sempre assortiti in gradazione dei costumi di scena.

Il sarto Paul Poiret lancia una collezione di abiti e di profumi orientali, influenzato dal balletto, facendo un enorme scalpore a Parigi. Poiret si dedicò anche al teatro, nel 1913, creando i costumi per lo spettacolo “Il minareto”. Il ruolo principale era affidato ad Ida Rubinstein, una russa di una bellezza strana, spesso ritratta da Bakst: dovendo diventare una perfetta odalisca, aveva bisogno di acconciature ed accessori appropriati, con cui potesse languire distesa su cuscini decorati. Per soddisfare questa esigenza, Poiret fondò una casa di decorazione per tessuti ed una serie di profumi dai nomi esotici.

La pubblicità sposa il mito orientalista

 

La visione Orientalista dal mondo occidentale

la Moda orientalista

Le esposizioni coloniali di Marsiglia, nel 1906 e nel 1922, con i loro incredibili padiglioni di stile orientale, con membri di tribù in costume tradizionale, danze e musiche, introdussero una nuova ventata di esotismo. Le affiches pubblicitarie di “creme orientali”, di prodotti per il viso, di saponi, di profumi e di dentifrici rappresentavano corpulente Ouled Nail, danzatrici egiziane o bellezze da harem vantando le qualità di questi prodotti: rendere le utilizzatrici del tutto irresistibili.

Fino alla prima guerra mondiale il trucco non era ben visto, ma poi si diffuse l’uso di cerchiare di nero gli occhi con il Kohl, e il mercato ne offrì di marche dal nome esotico, come Ouled Nail.

Anche se le fotografie e le cartoline delle colonie francesi e belghe, così come i film europei o americani, dai decori esotici, avessero continuato ad alimentare l’eterno bisogno di evasione del mondo occidentale, furono comunque soprattutto i quadri a far sognare il pubblico occidentale.

Il cinema orientalista

All’epoca del cinema muto, molte furono le attrici che crearono intorno a sé il mito misterioso della vamp, la seduttrice pericolosa. Una per tutte, Theda Bara. Agli inizi del ‘900 l’attrice scelse questo nome perché è l’anagramma di “arab death”, morte araba: desiderava infatti crearsi un immagine esotica di seduttrice araba maledetta. Gli occhi fortemente truccati, le espressioni cariche da diva del cinema muto, Theda Bara asseriva di essere nata sotto una piramide, allattata da un serpente, e che ogni suo amante o spasimante impazziva.

Del resto la figura della donna di spettacolo che, per arrotondare, dichiarava di essere “orientale” per costruire un personaggio esotico che la rendesse famosa è illustrata mirabilmente nel film di Gregory La Cava “La verità seminuda”, del 1936, nel quale un’artista circense il giorno in cui scopre che fingersi danzatrice del ventre non era più tanto vantaggioso e che le conveniva fingersi figlia di un principe arabo…