Gawazi sull’orlo dell’estinzione
Di Edwina Nearing
Da Newsletter della Hilal School of Raqs Sharqi .
Quarto numero, Gennaio, Febbraio, Marzo 1995; quinto numero, Aprile, Maggio, Giugno1995; sesto (ed ultimo) numero Luglio, Agosto, Settembre 1995
(La giornalista ed orientalista Edwina Nearing si è laureata sul Medio Oriente all’Università della California a Berkeley e all’Università americana di Beirut, è vissuta ed ha viaggiato in varie zone del Medio Oriente, fin dal 1968. ll suo più importante contributo all’ancor troppo dormiente corpo della conoscenza sulle danze del Medio Oriente è “The mystery of the Ghawazi”, una serie di articoli sulla tradizionale casta delle Ghawazi, donne-artiste. ll cuore della serie sono i dati raccolti sul luogo dalla Nearing nel 1976 grazie ad interviste e spettacoli con membri della grande famiglia Mazin di Luxor, in Egitto, rinomate praticanti dell’arte Ghawazi. Questo articolo fu scritto dopo che la Nearing trascorse alcuni giomi, nel gennaio 1993 con Khairiyya Mazin, la più giovane della famiglia, a Luxor. Questa visita costituisce la fonte del seguente reportage.)
Far ricerche sulle arti tradizionali del Medio Oriente è un po’ come fare archeologia di salvataggio- uno corre davanti ai bulldozer per salvare ciò che di culturale rimane prima che tutto venga gettato nell’oblìo. Le pressioni economiche e la corsa agli ostacoli attraverso l’occidentalizzazione hanno indotto il popolo del Medio Oriente, come la maggior parte del mondo, a girare le spalle alle sue ricche e culturalmente diverse eredità, ed a costruirsi da sé, letteralmente e metaforicamente, vergognose scatole di cemento per ospitare il corpo e lo spirito. In questo processo, molti dei curiosi e particolari mestieri, arti, costumi ed ambienti si sono già persi. I ricercatori fanno le acrobazie per registrare quanto ancora sopravvive, sia tramite la cosa in sé che attraverso varie ricerche, con la speranza di un futuro in cui, si auspica, il patrimonio tradizionale sia valutato più di quanto non lo sia al presente. La danza del Medio Oriente, questa curiosa e particolarissima forma d’arte, sopravvive ancora nella sua terra d’origine, forse perché è un’arte “sociale”, ed i mediorientali in generale sono un popolo molto socievole. La danza nel Medio Oriente celebra la guerra e la pace, la nascita e tutti gli altri momenti di passaggio della vita; afferma la solidarietà della famiglia, della tribù, della gente; persino rende in termini pratici l’unicità di Dio, o il Tutto, nelle cerimonie musulmane del Dhikr e della Hadra. La linea di demarcazione fra il pubblico e gli artisti spesso scompare; i danzatori, i musicisti ed il pubblico sono intercambiabili quando il richiamo del sangue infrange le barriere sociali. Nel Medio Oriente dei tempi antichi, e fra gli arabi preislamici, il sangue era la vita, ed il sangue ha un suo ritmo, ed il qawm- “la gente”, la tribù araba- danza la dahiyya al ritmo del sangue.
Ma è incerto se la danza Medio Orientale possa continuare a sopravvivere in tutte le sue diverse forme tradizionali. La tribù, l’essere arabi, turchi o berberi, sembra essere sulla via di scomparire anche se pare prematuro consegnare questo alla storia come qualcosa di finito, poiché il sangue del qawm scorre profondamente. Le stesse forze che hanno indebolito la tribù hanno colpito la danza nel Medio Oriente: occidentalizzazione e la pressione economica hanno largamente distrutto molte sue forme, molti suoi esponenti e molti luoghi d’incontro. Dove sono, per esempio, le famose Ouled Nail che frequentarono i pittori Dinet e intrattennero la Legione Straniera nel ristretto Quartiere d’Algeria, soltanto 40 anni fa? Dov’è l’abbagliante danza siriana “Sayf wa turs”, i suoi frastuoni di spada escudo che si mescolano con le urla acute del pubblico femminile? Ancora, il flusso del sangue scorre profondo, i beduini non hanno interamente rinunziato alla loro dahiyya, né la tenace forza contadina dell’Egitto ha cessato di dar lavoro a quelle donne dall’origine misteriosa, le Ghawazi, perché cantino e danzino nei loro festival.
Cosi ci inoltriamo fino a Luxor per vedere le Ghawazi, e prendiamo per certo il costante, ma lento, declino di ciò che resta delle arti tradizionali della regione. Ma ora un vecchio nemico, l’intolleranza religiosa, ha dato la mano a nuove forze schierate contro la danza, minacciando di convertire il lento declino in una fatale emorragia. Più di una volta, in passato, un relativamente piccolo ma aggressivo gruppo di estremisti sostenitori dell’lslam, la religione dominante nel Medio Oriente, hanno fatto in modo che la danza, ed a volte addirittura la musica, venissero proibite, ed i loro esponenti cacciati. D’allora in avanti, il ritmo del sangue si è sempre dimostrato più forte del breve rigurgito di fanatismo e repressione. Ora, comunque, l’intolleranza religiosa ha nuovi e forti alleati: la recessione mondiale, il taglio del supporto finanziario alle arti, l’inflazione, la crescita del prezzo d’entrata nei locali che programmano danza professionale, al di là delle possibilità della maggior parte dei portafogli, l’infatuazione per il potente occidente, che rifiuta come imbarazzanti le cose orientali, nella speranza di ottenere in qualche modo una fetta di potere, l’impulso della tecnologia, che ha reso facile e meno dispendioso guardare una videocassetta a casa che vestirsi e comprare un biglietto di un costoso spettacolo di danza, persino la sovrappopolazione ha colpito pesantemente, con una improduttiva e crescente maggioranza della popolazione al di sotto dei 20 anni, la maggior parte della quale è costituita dagli impoveriti bambini delle brulicanti città, cresciuti con “Dallas” e tagliati fuori dalla loro eredità culturale.
La danza non può essere posta sotto legislazione o esclusa dall’umanità, ma, come abbiamo visto, forme specifiche di danza possono morire, insieme con tutte le loro tradizioni associate e le cose a loro collegate. Negli ultimi due anni circa- almeno dalla metà del 1991, se non prima- le Ghawazi sono state al centro dell’attenzione delle forze ostili alla danza che convergono nel Medio Oriente. Le Ghawazi sono le famose artiste tradizionali, in gran parte con educazione ereditaria, dell’ Egitto, e la danza Ghawazi, che è menzionata dalla letteratura di diversi secoli, è la sola importantissima fonte originaria della danza professionale egiziana (El Raqs El Sharqi). Un secolo e mezzo fa, la maggior parte delle danzatrici professioniste in Egitto sia in città che nelle campagne venivano chiamate “Ghawazi”; ora il termine Ghawazi è usato in Egitto per indicare le danzatrici di campagna che ancora si esibiscono alla maniera tradizionale, e che non hanno aggiunto nulla al loro repertorio che provenga dal balletto, dalla danza latino-americana, o dalla danza moderna,come hanno fatto le danzatrici Orientali dei nightclub delle città.
Le Ghawazi, inoltre, si distinguono per il fatto di avere origine non-egiziana e non-araba,quanto meno nella maggior parte dei casi; l’orientalista dell’inizio del XIX secolo Edward Lane, nel suo libro “Un racconto degli usi e dei costumi del moderno egiziano” le chiama “una razza a parte” e dice che “spesso fanno uso di alcune parole che appartengono solo a loro”. La mia personale ricerca sugli Awlad Mazin di Luxor, una famiglia che per molti anni ha fomito le migliori Ghawazi dell’Egitto, conferma i miei precedenti sospetti che le Ghawazi comprendano alla fine alcuni gruppi etnici di provenienza incerta; i Mazin comprendono i Nawar, i Bahlawan, i Ghajjar, gli Halab, ed i Shahaina. Ogni gruppo ha apparentemente un suo linguaggio: i Mazin che vengono da Nawar affermano che la loro lingua è totalmente non correlata a nessuna altra parlata da altri gruppi. ll piccolo vocabolario Nawari che ho messo insieme mostra qualche somiglianza con l’Hindi, suggerendo che i Nawari potrebbero essere originari dell’lndia o di una zona vicina, e probabilmente del nord dell’lndia o di una zona vicina, se altre evidenze di circostanze che ho scoperto sono valide. Le Ghawazi sono ancora richieste nei villaggi perché facciano spettacoli per le stesse funzioni per cui, secondo Lane, venivano chiamate più di 150 anni fa: appuntamenti di festa, celebrazioni di matrimoni e circoncisioni. E’ ritenuto un onore che una famiglia provveda ad una festa con le Ghawazi per la gente del paese, come segno di buon auspicio; nell’Alto Egitto, da 2 a 5 Ghawazi sono assunte per dare spettacolo, in teoria per tutta la notte, su di un alto palco di legno, costruito all’aperto apposta per quella occasione. Le Ghawazi della regione di Luxor, soprattutto le Mazin, portano avanti anche un’altra tradizione registrata da molti viaggiatori del secolo XIX, quella di fare spettacolo sulle navi del Nilo per feste private, organizzate per i turisti che visitano gli antichi monumenti faraonici che abbondano nell’Alto Egitto. Ciò ha luogo soprattutto nella “stagione fredda”, da Novembre ad Aprile, quando il tempo è più piacevole per gli stranieri; la restante parte dell’anno, la “stagione calda” è preferita dagli egiziani per le feste all’aperto, nelle quali danno spettacolo le Mazin o altre Ghawazi. Ma ora, nel Gennaio 1993, non vi sono Ghawazi che si esibiscano a Luxor.
La situazione economica, le videocassette, e la “sindrome di Dallas” hanno chiesto di recente il loro “pedaggio” alla popolarità delle Ghawazi, ma quando ho incontrato Khairiyya Mazin, all’inizio dello scorso anno,-lei e sua sorella Raja si esibirono almeno 5 volte durante la settimana che trascorsi a Luxor, ed è chiaro che non hanno certo perso ora alcuna delle loro abilità. Una delle loro performance per un gruppo di turisti finlandesi di mezza età, che parevano aver bevuto troppa birra, fu appena appena decente, ma per un altro minuscolo gruppo di americani entusiasti della danza, fu superba. I loro movimenti nella danza, accompagnati dal suono lamentoso delle rababa, aveva il languore ipnotico ed assorto di un’odalisca in un buon quadro di un pittore orientalista, fermando il tempo. ll loro lavoro sul ritmo veloce era pieno di una tale energia che le danzatrici sembravano vibrare, e giocavano fra loro- prendendo inconsciamente i segnali l’una dei movimenti dell’altra .mentre improvvisavano, e si intrecciavano in modo armonioso- cosi che a momenti sembrava ci fosse fra di loro una corrente elettrica, una meravigliosa tensione che intrappolava lo spettatore.
Avevo progettato di lavorare con Khairiyya e Raja nella “stagione calda” che si stava avvicinando, come già in passato avevo fatto; la loro sorella si era ritirata, lasciando che solo le due più giovani continuassero, e gli abitanti dei villaggi preferiscono scritturare un gruppo di 3 o 4 Ghawazi per una celebrazione più grande ed uno spettacolo più vivace. Di eguale importanza per Khairiyya e Raja era il tempo di riposo che una terza danzatrice avrebbe potuto offrir loro- le performance nei villaggi durano in media dalle 5 alle 7 ore, senza pause, così, quante più sono le danzatrici, tanto meno il lavoro pesa su ognuna. Ma Khairiyya ha cattive notizie. Le autorità di Qena, la capitale della provincia, hanno posto fuori legge le performance pubbliche di danza nei paesi dove erano più popolari. Benché al momento io non abbia capito bene, sospetto che queste esibizioni siano state bandite per tutta la provincia, o almeno lo siano ora, anche se in qualche caso possono essere state permesse a discrezione delle autorità locali dei vari distretti per rinforzare il bando, poiché la provincia di Qena è molto estesa. Questa fu per me una notizia straziante, non tanto per quanto potesse danneggiare il mio progetto a breve termine, ma per il significato che aveva per la sopravvivenza delle Ghawazi e della loro arte. Lungo il corso degli anni, ho visto villaggio dopo villaggio chiudere le porte alle Farahat, le grandi celebrazioni pubbliche di matrimonio e di altre occasioni di gioia, delle quali le Ghawazi erano l’attrazione centrale, e che, come le fiere, attiravano visitatori dalle zone limitrofe. Certo, fu la grande popolarità delle Farhat che le predestinò, poiché nell’eccitazione nottuma della folla, con la birra spesso liberamente disponibile e le armi da fuoco, scadevano nei tradizionali arabi “spari di gioia”, e a volte ne scaturivano risse. Non di rado accadeva che uno straniero, per vendetta contro un individuo o una famiglia del villaggio ospite, approfittasse della Farah per portare a termine un assassinio di faida. Ed era così che le fazioni dominanti in alcuni villaggi hanno posto termine alle grandi danze delle Farahat, e non fu innaturale per me dedurre che l’autorità centrale, in nome della legge e dell’ordine, abbia deciso di vietarle del tutto. “Ma ci vorrebbero ben più di un gruppo di poliziotti per trattenere il Sa’aida- l’ingovernabile popolo dell’Alto Egitto- lontano dai loro amati tempi antichi”, cercai di rassicurarmi, spiacevolmente consapevole che il tempo stesso giocasse contro le Ghawazi, poiché con la crescente occidentalizzazione le tradizionali Farahat hanno ormai perso popolarità.
“E perché hanno vietato le Farahat?”, ho chiesto a Khairiyya, sperando per metà in un’eccitante storia di qualche vendetta che avesse preso il via fuori dal controllo. “Almunathamat al islamiyya”, rispose Khairiyya, “I gruppi fondamentalisti islamici. Vogliono proibire la danza e fermare il turismo”. Per tutti i mediorientali, il termine Munathamati slamiyya ha preso ad indicare il maggiore elemento destabilizzante nella società mediorientale, per buono o malato che venga considerato a seconda del loro punto di vista.
Una certa quantità di Sa’aida continuarono a tenere pubbliche Farahat, a dispetto delle munathamat e delle nuove leggi, specialmente nell’estremo nord, nella regione di Al-Balyana, ma nel 1991 la stagione fu disastrosa per le Ghawazi. Le Banat (ragazze) Mazin praticamente non sono state scritturate. “Ta’ishi zayy’?” ho chiesto a Khairiyya, “Quanto potrete sopravvivere ora? Quando finirete di costruire la vostra casa?”. La casa era l’equivalente di un appartamento occidentale di una stanza stretta; dopo che suo padre Yusuf mori a metà degli anni 1980, la casa della famiglia Mazin fu venduta, e Khairiyya dovette arrangiarsi da sé, tutte le sue sorelle si sposarono in quel periodo. Lei affittò un modesto appartamento, fece i salti mortali e fece sacrifici, ed infine fu in grado di comprarsi una sottile striscia di terra alla periferia della città. Sperò di costruirsi un secondo piano per la sua “casa”e di risiedervi per poter dare in affitto il primo piano; l’affitto avrebbe dovuto essere una sorta di “pensione sociale” o assicurazione quando sarebbe diventata troppo vecchia per danzare.Khairiyya mi assicuro che, benché non potesse più lavorare nelle grandi feste di Farahat, leopportunità di lavoro nella città di Luxor stessa erano drasticamente aumentate. Agenzie di viaggi, organizzazioni di hotel e ristoranti si erano finalmente svegliate di fronte al fatto che orde di turisti, che discendevano a Luxor durante l’inverno per vedere le tombe ed i templi dei faraoni, avrebbero desiderato qualcosa per occupare il loro tempo anche durante la serata, e che grazie a questo si sarebbe potuto guadagnare. Gli spettacoli folkloristici che per anni erano stati presentati al Winter Palace, il più vecchio hotel di Luxor, avevano attratto folle di spettatori, e gli altri alberghi l’avevano lentamente seguito. Forse, gli occasionali gruppi di fanatici della danza Medio Orientale che erano venuti a Luxor durante l’ultima decina d’anni circa, organizzando anche la loro festa privata con la Ghawazi, diedero al fatto una spinta. Ora sembrava che chiunque, col turismo, cominciasse a dare spettacolo, e c’era sufficiente lavoro a Luxor per tenere le Ghawazi occupate a tempo pieno, almeno in inverno sarebbero comunque state portate lì danzatrici dal Cairo. Così potei vedere diverse performance delle Banat Mazin durante la mia breve permanenza a Luxor nel 1992, ed ebbi ragione di sperare che le Ghawazi potessero sopravvivere per un lungo periodo.
A qualche minuto di distanza dal mio arrivo a casa di Khairiyya nel gennaio del 1993, appresi che la mia speranza aveva fondamenta malate. “Chiunque sta dimenticando il karama- l’onore, l’alto prestigio- delle Banat Mazin”, si lamentò. “Nessuno rispetta più l’arte.
La città pullula di danzatrici del ventre portate dal Cairo e Al Minya; nessuno ci vuole”. Non aveva lavoro, così lasciò scadere le sue licenze, le carte senza le quali ad una danzatrice non è permesso lavorare in Egitto, e che devono essere rinnovate ogni anno: la costosa licenza di 200 lire egiziane del Ministrero del Turismo, la licenza dell’Adab- essenzialmente la “buoncostume”- e tutte le altre di cui la burocrazia egiziana carica gli artisti teatrali. La sua sorella e partner Raja si era sposata con un gentleman dai modi buoni della città. Khairiyya stava disperatamente tentando di terminare la sua casa, per poter lasciare la zona al piano inferiore; più tardi scoprii che non aveva soldi per finire il lavoro e che aveva già ricevuto e speso una ipoteca sull’appartamento al piano terra, che avrebbe dovuto liberare quando il nuovo proprietario ne avesse preso possesso 2 o 3 mesi più tardi. L’appartamento superiore, nel quale si supponeva che Khairiyya dovesse andare ad abitare, era ancora mezzo da completare con la malta e pieno di macerie. Quella sera e le seguenti ci rannicchiammo intorno ad un vaso di argilla con carboni ardenti nella stanza più piccola della casa, avvolte in strati di vestiti e coperte, ed io ascoltai ancora. Khairiyya si scusò per il braciere- aveva dovuto vendere la sua stufetta elettrica; così la televisione ed il frigo, notai, se ne erano andati. Aveva tentato di lavorare l’estate precedente alle Farahat che qualche Sa’aida nella distante area di Al Balyana ancora organizzava, di nascosto, nonostante il divieto della legge e le Munathamat. Le Ghawazi in quella zona, disse, erano più del Bahlawan che della sua gente, la Nawar- si riferì a loro con il termine Nawari “Sharishtiyya”, “ladruncole”.Il commento “Sharishtiyya” fu spiegato: le sue “colleghe” fra le Bahlawan, come Khairiyya le definì amaramente, le avevano rubato la maggior parte dei suoi costumi, parrucche ed ogni altra cosa di valore. Ma i suoi giorni fra le Ghawazi di Al Balyana erano comunque contati, poiché dopo alcuni spettacoli la polizia fece un raid in una Farah, e portò lei e le sue colleghe alla prigione, dove trascorsero la notte con i loro costumi, congelando. Un ufficiale disse a Khairiyya che se l’avesse presa di nuovo l’avrebbe uccisa. Poi fu formalmente schedata “come se fossi stata una grande criminale, un nemico pubblico, e non un’artista”. Visto che l’esperienza di Al Balyana non aveva augurato niente di buono per il suo futuro nella zona, riluttante, decise di lasciar perdere le Farahat là. Chiesi a Khairiyya se le Ghawazi di Al Balyana stessero ancora lavorando. Fino a quando ne aveva avuto notizia, sì: “La polizia dà loro la caccia e le imprigiona un giorno e loro semplicemente appaiono in un altro posto il giorno dopo”. E la gente di Hamadat, Qenawiyya, e gli altri paesi vicini a Qena dove le Ghawazi Mazin erano state popolari, ancora venivano assunte per le Farahat? Sì, un po’, e quando domandai ad alta voce se i paesani non avessero paura delle autorità, Khairiyya disse che tenevano una stretta sorveglianza per avvistare la polizia, e, appena la vedevano, “acchiappavano le danzatrici e le gettavano in mezzo ai campi coltivati”- i campi di canna da zucchero o qualunque cosa intorno al villaggio- per nasconderle. Questo, certo, era pericoloso; era troppo facile per una danzatrice, fuori, da sola, al buio, nei campi, essere molestata o persino assalita, specialmente nella confusione del raid. ln ogni caso, Khairiyya piangeva, la sua salute non era buona, e lei non poteva continuare molto con questo tipo di situazione. Sua sorella Su’ad più tardi mi raccontò che la polizia di Qena aveva specificamente ammonito Khairiyya di non lavorare nella zona, affermando che non la avrebbero potuta proteggere dagli irhabiyin, i terroristi religiosi. Così Khairiyya ha trascorso la lunga “stagione calda” con poco lavoro ed ancor meno introiti, sperando che la stagione turistica invernale fosse migliore. Ma l’inverno trovò Luxor inondata di danzatrici Orientali provenienti dal Cairo, danzatrici che affermava fossero “sahilin”, “facili”, disposte a scambiare favori sessuali per lavoro o per regalo, ed a fare spettacoli in ogni luogo d’incontro ed in ogni circostanza. Su’ad disse che alcune di queste danzatrici tentarono di farsi passare per danzatrici artistiche folkloristiche indossando in pubblico costumi folk, ma lei non si faceva convincere, per nulla, poiché rovinavano l’effetto con “trucco ed acconciature di stile straniero”. Pensò che fossero venute dal Cairo per paura degli irhabiyin: io pensai che più facilmente stavano soltanto cercando più lavoro, ed avevano udito che a Luxor c’era richiesta di danzatrici. Qualunque fosse la ragione, la loro quantità e facilità di reperimento avevano fuorviato le vere artiste folkloristiche; i musici stilocali, persino, si erano rivoltati contro le sorelle Mazin, disse Khairiyya, preferendo le più accondiscendenti danzatrici del Cairo. Ed il favore dei musicisti era importante per ottenere lavoro a Luxor, poiché molti impresari cittadini, spesso privi di esperienza nel settore organizzativo degli intrattenimenti, o provenienti da fuori regione, lasciavano ai musicisti il compito di consigliare o procurare le danzatrici, diversamente dalla gente del Sa’aid dicampagna, che conosceva e contattava direttamente le danzatrici. Khairiyya era l’ultimaGhawazi nell’area di Luxor; le sue vecchie compagne si erano sposate e si erano ritirate. E lei, esperta esponente di un’antica arte, lei, ancora giovane, le cui braccia e collo erano una volta rivestite d’oro, non poteva più mantenersi. Disperata, stava prendendo inconsiderazione un matrimonio combinato, ma, come disse, “Come potrei sapere se l’uomo sia buono? Piuttosto preferisco lavorare per mille anni che vivere un giomo con un uomo che odio”. E neppure voleva davvero “stare seduta in casa tutto il tempo, diventare grassa e dimenticare come si danza”. Mi aveva detto l’anno prima che persino se fosse stata comodamente sposata non avrebbe desiderato smettere completamente di lavorare, sia per mantenere una posizione di forza per trattare con suo marito, sia perché la fama delle BanatMazin non perisse.
Cercai di pensare a qualcosa che le assicurasse un adeguato, sicuro stipendio per renderla in grado di restare nel campo che aveva scelto, qualcosa, inoltre, che potesse incoraggiare la stranezza dell’arte Ghawazi di voler sopravvivere ancora per un po’ nonostante tutte le forze che vi si stavano organizzando contro, come una infausta congiunzione planetaria. Ed una risposta si presentò in fretta, suggerita da un recente incontro con una allieva-danzatrice svedese, in viaggio per Luxor, che mi aveva chiesto se conoscessi una Ghawazi, che fosse disponibile a darle lezioni di danza. Riferii l’idea a Khairiyya, che ne fu entusiasta. Stabilimmo una cifra di 60 lire egiziane per una lezione di un’ora e mezzo- circa 18 dollari,secondo quanto era richiesto da una danzatrice in una simile circostanza al Cairo, Nadia Hamdi. Questo non avrebbe risolto i problemi immediati di Khairiyya, ma, se avesse in qualche modo potuto continuare per qualche mese fino a che il mondo dell’ “Istituto Mazin per le arti folkloristiche” avesse successo nella comunità internazionale di danza, bene, l’idea era buona.
Se. Se avesse potuto continuare. Se le danzatrici di Al Balyana avessero potuto continuare, se la gente del Sa’aid avesse potuto continuare, se gli amanti dell’arte e della libertà- le due cose sembrano in qualche modo aggemellate nel Medio Oriente- avessero potuto continuare. Non si deve pensare che quella di Khairiyya Mazin sia una storia isolata; dato l’attuale clima di inimicizia e di intolleranza religiosa, di incompetenza burocratica, di recessione e di occidentalizzazione, simili storie si potrebbero scoprire in tutto il Medio Oriente. Epoche recenti hanno visto la “danse orientale” messa fuori legge in paesi dalla Libia all’lran, ma la”danse orientale” è una forma eclettica, sempre in evoluzione, e la sua soppressione in unpaese, semplicemente tende a causarne la proliferazione in altri paesi ed ad accelerarne la continua mutazione. Ma se le Ghawazi saranno a lungo represse da questa situazione critica, probabilmente moriranno, e se moriranno, una delle ultime maggiori e particolari tradizioni coreutiche Medio Orientali moriranno con loro. L’arte delle Ghawazi è certo tenace, sopravvivendo alla fine del secolo XX, quando altre forme sono scomparse. Se loro, inoltre, scendessero nella strada dell’estinzione, potrebbero le altre tradizioni di danza del MedioOriente resistere ancora per molto? O credenti: “lnna Allah jhamilun wa yahubb al jamal” “ln verità Dio è bello ed ama ciò che èbello”.Per chi sia interessato a lezioni con le Ghawazi:Khairiyya abita a circa un miglio a nord della stazione dei treni di Luxor, vicino ai binari dellaferrovia. Mostrate l’indirizzo che segue a qualunque guidatore di pullman o taxi, ed il prezzo non costerà più di 5 l. e. (circa 1 dollaro e mezzo) da qualunque luogo in città; non prendete un pullman, anche se è facile trovarne un altro vicino alla casa di Khairiyya. Se avete un pezzo di musica preferito adatto alla danza Ghawazi, non esitate a prenderlo; se vi offrisse un tè, non esitate ad accettarlo.