Il rituale Zar

Il rituale Zar

“Trance e danza estatica” di Erika Bourguignon

– “I rituali estatici” di Giovanni Calendoli

– Lo zar in Somalia, attraverso il racconto del romanzo “Aman, una giovane donna dall’inferno alla libertà” di Virginia Lee Barnes e Janice Boddy

– “Donne e spirito di possessione nell’Omdurman in Sudan” di Samia Al Hadi Al Nagar

– “Somalia: La terapia coreutico-musicale del Mingis” di Francesco GiannattasioSi tratta di un rituale probabilmente antichissimo, di certo preislamico, che esprime una religiosità animistica di tipo africano, presente in una regione molto vasta, che si estende dal sud dell’Egitto al Sudan, alla Somalia, allo Yemen, forse persino all’Arabia Saudita (non è un fatto certo).

Forme simili di rituale si ritrovano anche in altri paesi, come l’Etiopia o alcune zone dell’africa nera, o nei paesi nord africani, all’interno delle pratiche iniziatiche tipiche dei culti estatici dei santi.

Anche la Lila degli Gnawa, nel sud del Marocco, presenta con il rituale Zar analogie sorprendenti (ma non molto, considerando che gli Gnawa sono i discendenti degli schiavi sudanesi dei ricchi signori marocchini…).

Di fatto i rituali legati alla Pizzica salentina appartengono alla stessa tipologia.

L’Islam ha inglobato in sé questo rito perché la gente avrebbe comunque continuato a praticarlo, e per una religione ufficiale è sempre più prudente evitare la presenza, nel suo territorio di influenza, di manifestazioni di tipo religioso al di fuori del suo controllo. Inoltre, poiché la gente era da sempre legata a questo rituale, considerandolo efficace, sarebbe stato assurdo negarne la validità.

Per finire, per proporre una nuova religione sovrapponendola a quella vecchia, si devono comunque soddisfare tutti i bisogni della comunità, meglio, o almeno in modo equivalente a ciò che offrivano i vecchi culti: la funzione sociale, culturale e terapeutica dello Zar non poteva essere sostituita da nulla altro, ed ancora oggi, nonostante la ufficiale rinuncia a tali pratiche da parte dell’élite bempensante e colta (che ovviamente guarda al modello occidentale, rifiutando le tradizioni come non-cultura, o come cose di cui vergognarsi), il rituale viene largamente praticato, magari di nascosto, preferendolo di certo ai rimedi terapeutici proposti dalla medicina occidentale.

La danza

Dal punto di vista della danza, il rituale rappresenta una porta aperta verso la danza pura, totalmente spontanea e frutto di esigenze reali, primarie, di sopravvivenza e di espressione.

Non è una forma di spettacolo, in nessun modo. Forse si può considerare una forma di festa, senza dubbio un’occasione di ritrovo e di comunicazione, ma rimane comunque un ambito privilegiato dove non entrano né turisti né commerci, senza alcun segno di teatralità e dove quindi l’essere umano si potrà permettere di essere “solamente” se stesso.

Una testimonianza occidentale

Nel 1920 Joseph Mc Pherson, professore di inglese e futuro capo della polizia segreta in Egitto, fu testimone di una cerimonia di Zar, in una casa nei dintorni de Il Cairo. Così racconta:

“…Non era né coranico, né islamico, né religioso. Non avevo mai visto nulla di simile sino ad allora in Egitto. (il canto faceva) parecchie volte riferimento al sacrificio di una affascinante fanciulla il cui sangue era stato tramutato il fiore… Ero certo che lo Zar doveva essere una pratica importante, risalente ai misteri ellenistici, o al culto di Baal e Tammuz.”

La cerimonia si sviluppava fra donne danzanti in mezzo a fiori, frutti, noci e candele accese. Al culmine dell’enfasi, le donne caddero a terra, e la scena piombò in un improvviso silenzio. Allora vennero sacrificati alcuni animali, e la Aalima, la sacerdotessa della cerimonia, si bagnò di sangue il viso e gli abiti.

“Questo pareva produrre un effetto magico, poiché la loro frenesia precedente era stata poco calorosa, in rapporto allo scatenamento demenziale che le possedeva ora. Si strappavano i capelli con le mani sanguinanti, gesticolavano e lanciavano urla forsennate… In qualche momento si curvavano all’indietro finché il loro corpo formava un arco vibrante e convulso, riposandosi al suolo sui talloni e sulla parte posteriore della testa, mentre i muscoli del loro corpo continuavano la danza con incredibili contorsioni… Molte donne, in un delirio orgiastico, sempre danzando, estrassero dal loro petto e tennero in mano, nascondendoli con cura, piccoli oggetti che tentai invano di vedere”

Le donne si misero a cantare dei canti che, secondo Mc Pherson, erano “erotici, e al loro iniziare questi canti, le danze divennero indecenti”. A questo punto lo straniero fu allontanato.

Risulta molto strano che uno straniero, e per di più un uomo sia stato ammesso ad un tale rituale, ma forse allora il moralismo in Egitto era diverso da oggi, e, tutto sommato, probabilmente l’europeo vide soltanto una parte del rito, tanto che non menziona affatto i djinn o i rituali di possessione ad essi legati. Ovviamente, però, non manca di giudicare il carattere “indecente” di tali danze…!

 

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